Caro Marco,
ne parlammo a lungo con tuo padre, quando era segretario del ministro Berlinguer. Cercammo di spiegargli, in amicizia, che il sistema di reclutamento che stavano progettando avrebbe avuto tutti quei problemi che tu ora rilevi (meglio tardi…). A onor del vero, cercammo di spiegarlo anche al ministro Moratti, con risultati non diversi.



Perché il meccanismo laurea + formazione + immissione in ruolo per concorso ha esattamente lo stesso peccato originale del sistema laurea + concorso che ora pensa di reintrodurre Bussetti: la dimensione nazionale. Non c’è nessun sistema di reclutamento — ripeto e sottolineo: nessuno — che possa funzionare su base nazionale. Perché le dimensioni necessariamente elefantiache di qualsiasi sistema pensato su base nazionale, inevitabilmente — ripeto e sottolineo: inevitabilmente — producono quelle lungaggini e quegli scarti rispetto alle necessità reali che inevitabilmente — non torno a ripetere e a sottolineare — generano la necessità delle supplenze e la riproduzione del precariato. Inevitabilmente, al di là di ogni buona intenzione e di ogni immagine della scuola che sostenga un sistema o l’altro.



La via d’uscita è una, e una sola: affidare il reclutamento alle singole scuole. Non con l’insensata formula della “chiamata nominale”, naturalmente: la Costituzione afferma che “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso” (art. 97), e così dev’essere. Ma non c’è scritto da nessuna parte che il “pubblico concorso” possa essere bandito solo dall’amministrazione centrale: possono essere banditi benissimo dalle amministrazioni periferiche. Se un Comune ha bisogno di un segretario comunale, o di un addetto ai servizi ambientali, bandisce il suo concorso, non aspetta il bando nazionale. Se un ospedale ha bisogno di un medico, o di un portantino, idem. E così via. Perché non possono farlo le singole istituzioni scolastiche? Il liceo di Vattelapesca, la scuola elementare di Nonsodove, hanno bisogno di un insegnante: bandiscono il concorso, formano la commissione, esaminano i candidati, scelgono. E assumono gli insegnanti che servono, quando servono: non uno di più, non uno di meno. Fine del precariato (tutto questo è molto semplice e realistico. Poi, ho un sogno: fra le prove d’esame c’è una prova pratica, che dura un anno, a cui ammettiamo, che so, i tre migliori delle prove scritta e orale: li teniamo un anno, li vediamo all’opera, alla fine la commissione valuta e assume quello che ha dimostrato, sul campo, di essere più capace di stare con gli alunni, di voler imparare, di sapersi formare…).



Quali le obiezioni a un sistema tanto semplice e ragionevole? Due. Una fondata, e una di potere.

Quella fondata è che in questo modo io, liceo di Vattelapesca, assumo un dipendente che poi paga un altro, il ministero dell’Istruzione. E chi garantisce che io non ne approfitti? Tanto paga Pantalone… La soluzione, anche qui, è semplicissima: io, ministro dell’Istruzione, do al liceo di Vattelapesca i soldi che gli servono in base al numero di studenti che ha; dopo, gestirli è un problema suo, è lui che deve fare i conti se ha i soldi per pagare un insegnante in più oppure no.

Seconda obiezione, di potere. Questo sistema minerebbe alla radice l’enorme potere dei sindacati, che prosperano proprio sul proliferare di leggi e leggine, norme e contronorme, graduatorie di prima e seconda e terza fascia e chi più ne ha più ne metta, che generano contenziosi a non finire, in cui solo gli esperti del sindacato sanno orientarsi; così tutti gli insegnanti, per districarsi in un tal ginepraio, si iscrivono ai sindacati, gli unici in grado di muoversi in questo habitat. E sottrarrebbe competenze agli Uffici scolastici provinciali e regionali, la cui attività principale consiste proprio nel compilare e gestire le infinite graduatorie dei supplenti e i contenziosi che ne seguono: se glieli togliamo, che fanno?

E qui — ripeto e sottolineo, qui, non altrove — casca l’asino. Meglio, cascano i governi: quale governo ha la forza di fare una riforma così radicale che risolverebbe davvero i problemi del reclutamento degli insegnanti, ma gli metterebbe contro sindacati e pubblica amministrazione?

E allora, finché non avremo un governo abbastanza solido per una riforma così, ci terremo le liste infinite di supplenti e precari. Tutto il resto — Ssis, Tfa, Pas, Fit, concorsi “come quelli di una volta”, è lo stesso — è aria fritta.