Il “casus” parte dalla cosiddetta “legge Lorenzin” (n. 119 del 31 luglio 2017), che ha stabilito l’obbligo di 10 vaccinazioni (di-te-per, antipolio, epatite B, influenza, malattie esantematiche) per tutti i minori da 0 a 16 anni (più altre 4 solo raccomandate…) con conseguente non ammissione degli inadempienti ad asili nido e scuole dell’infanzia (fascia 0-6 anni). Per gli alunni della scuola dell’obbligo, invece, possibilità di continuare la frequenza, ma comminando una multa da 100 a 500 euro. La rilevazione delle avvenute vaccinazioni spetta alle Asl, che dovrebbero inviare (o avere già inviato) a ogni famiglia il relativo attestato. Le scuole sono state coinvolte nella procedura, avendo dovuto raccogliere le attestazioni, fare segnalazioni alle Asl, contattare e sollecitare le famiglie eccetera.
Difficile presentare “il” punto di vista dei dirigenti scolastici al riguardo, trattandosi di un tema che ha ben presto assunto connotazioni anche politico-ideologiche, con implicazioni psicologiche ed emotive non di poco conto. In via generale, la stragrande maggioranza di noi presidi, a prescindere dalle considerazioni di merito, ha vissuto con insofferenza l’attribuzione di questa ulteriore incombenza, tra l’altro ambiguamente normata, e in un campo estraneo alle nostre competenze ed esperienze. Essa si aggiunge ad altre gravose mansioni tecnico-burocratiche (quali la sicurezza e la messa a norma degli edifici, la titolarità delle relazioni sindacali, la garanzia del trattamento dati e della privacy eccetera) che una parte considerevole di noi considera estraneo allo specifico del nostro ruolo.
Teniamo presente, poi, che (riprendendo una definizione polemica utilizzata al tempo della legge sulla “Buona Scuola”) non è esattamente nelle nostre corde vestire i panni degli “sceriffi” come dovremmo continuare a fare con i bimbi delle scuole dell’infanzia. Si tratterebbe, infatti, di individuare (in sinergia con le Asl) le famiglie “non in regola” con il calendario vaccinale, additarle al pubblico ludibrio e infine non ammetterne a scuola i pargoli. E in caso di non ottemperanza che fare? chiamare la forza pubblica?
La scuola italiana, è noto, fa dell’inclusività uno dei suoi vanti più sbandierati: da tempo accogliamo minori senza permesso di soggiorno e quindi tanto più senza attestazioni vaccinali; negli ultimi anni diverse regioni (tutte del Nord) hanno abolito la necessità di esibire il certificato medico dichiarante la guarigione dopo un’assenza per malattia di più di 5 giorni (quindi non è raro veder arrivare a scuola bimbi febbricitanti e con esantemi più o meno diffusi, il tutto sotto l’esclusiva responsabilità delle famiglie…); in caso di pidocchi o altri parassiti umani, possiamo solo sollecitare urbi et orbi trattamenti preventivi e disinfettanti, ma senza operare alcuna verifica individuale o (Dio non voglia!) allontanamento.
Diciamo che si avverte quanto meno una certa sproporzione, per non dire contraddittorietà, tra l’aperturismo nelle fattispecie suddette e il ferreo rigorismo nel caso dei vaccini.
Entrando, poi, nella cronaca recente, a molti è sembrata sorprendente e piuttosto confusionaria la dichiarazione perentoria del presidente Anp con il (minacciato?) rifiuto da parte dei presidi di ottemperare alla circolare Grillo-Bussetti del 5 luglio scorso. Tale circolare prorogava per l’anno scolastico corrente la possibilità per le famiglie di autocertificare l’avvenuta vaccinazione, con l’intento dichiarato di semplificare la vita sia alle famiglie sia alle scuole.
Visto che il ministro della Salute, Giulia Grillo, in conferenza stampa aveva anche annunciato l’avvio di un tavolo di esperti indipendenti sulle vaccinazioni (cioè privi di rapporti finanziari con i produttori di vaccini), con gli obiettivi di affrontare il fenomeno della diffidenza e del dissenso vaccinale e di aggiornare il Piano nazionale prevenzione vaccinale, si rischia di interpretare la presa di posizione dell’Anp come un altolà a ogni possibile apertura verso i critici (non necessariamente “no-vax”) della vigente politica vaccinale.
Il richiamo, fatto dal presidente Giannelli, alla (ovvia) preminenza della legge (Lorenzin) come fonte normativa superiore alla circolare (Grillo-Bussetti) è sembrato voler forzare l’intento della circolare, che offriva — come detto — una dilazione alle famiglie, non un escamotage per aggirare l’obbligo vaccinale. E comunque si è visto che ne è nata un’interpretazione “politica”, con i presidi presentati nei media come oppositori tout court delle misure governative.
Concludo con una considerazione più “filosofica”. Nessuno (o quasi) è contro i vaccini in assoluto: le sempre più numerose risultanze scientifiche ne mettono in discussione modalità di conservazione e di somministrazione (numero di vaccini in contemporanea ed età del bambino), non il ricorso alle vaccinazioni in sé. Ma è possibile un pacato confronto? E’ lecito dubitarne in questo momento, in Italia, visti i toni utilizzati per demonizzare ogni posizione in qualche modo critica verso l’attuale politica vaccinale.
Le delicate questioni della libertà di scelta delle famiglie, dell’imposizione di trattamenti obbligatori, dell’ingerenza dello Stato nelle scelte terapeutiche eccetera chiedono, a mio parere, un approccio più equilibrato e prudente rispetto ai diktat della legge Lorenzin. Con il rischio, se no, di dare ulteriori argomenti a chi denuncia collusioni dei potentati economici con l’apparato politico-amministrativo (e fors’anche accademico-scientifico), che dovrebbe esserne il controllore e il garante nei confronti dei cittadini.