L’icona del ponte Morandi monco e sbrecciato, col suo forte impatto emotivo e simbolico, fa ormai parte dell’immaginario collettivo nazionale, e non solo.
Come spesso avviene nelle calamità (imprevedibili o più o meno annunciate che siano…), la sofferenza e il bisogno fanno emergere anche energie positive che almeno in parte compensano i limiti e gli errori umani
nel momento del lutto e del bisogno emergono energie positive che rivelano come nel cuore umano, a fianco di pulsioni più o meno negative, alberghi anche un’insopprimibile desiderio di bene. In queste settimane qui a Genova abbiamo infatti constatato, pur nella costernazione di molti e nel turbamento di tutti, un clima di fattività responsabile: dalle istituzioni al semplice uomo della strada, ognuno si è dovuto misurare con la domanda “che cosa devo (posso) fare io in questo frangente?”. E allora le rielaborazioni grafiche e fotografiche col ponte rattoppato dalle braccia larghe dei soccorritori o da un cuore multicolore, al di là della facile retorica, posso diventare segno di un impegno condiviso.
Quello che è da chiarire subito per i lettori non genovesi è la gravità e generalità del disagio sofferto dalla città. Difficile capire come il crollo di “soli” 200 metri di un ponte possa aver messo in ginocchio un intero sistema di viabilità (con tutte le conseguenze pratiche e psicologiche connesse), eppure questo è successo. “Genova città divisa”, recita una famosa definizione, con riferimento alla separatezza geo-sociale dei vari quartieri, ma anche alla storica incapacità tutta genovese di ragionare per obiettivi condivisi e agire in vista del bene comune. Una foto emersa dagli archivi mostra l’inaugurazione del ponte, il 4 settembre del 1967. In doppiopetto scuro e col volto atteggiato a seria compunzione alcuni noti personaggi del nostro passato politico: il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, i ministri Mancino e Taviani, il progettista Riccardo Morandi, il sindaco di Genova (e, per inciso, zio dello scrivente) Augusto Pedullà. Allora si inaugurava un’opera all’avanguardia, risolutrice di problemi e proiettata nel futuro: ma l’aumento esponenziale del traffico, dei pesi trasportati e delle misure stesse dei mezzi circolanti avvenuto nel successivo mezzo secolo è stato assorbito sostanzialmente dalle stesse infrastrutture: misteri e vergogne di un territorio (di un Paese?) che non ha saputo crescere secondo promesse e speranze.
Ecco quindi l’attuale situazione di una città non solo colpita da un disastro che ha avuto un inaccettabile costo in termini di vite umane e di danni morali e materiali, ma che ora deve fare i conti con disagi che toccano, in percentuali variabili ovviamente, la generalità dei cittadini e delle attività economiche (per il rincaro delle derrate alimentari visti i moltiplicati costi di trasporto, per gli aumenti esponenziali nei tempi di percorrenza da casa al posto di lavoro e ad altre destinazioni necessarie, per i frequenti incidenti e imbottigliamenti stradali).
Ma ripartiamo da quell’immagine del ponte monco per affrontare qui un aspetto circoscritto, anche se non secondario, della tragica vicenda: le sue conseguenze sulla scuola, sugli studenti, sulle loro famiglie.
Vediamo più concretamente chi si è mosso e come.
Fin da metà agosto il Miur – nella persona di Giovanna Boda (direttore generale per lo Studente, l’integrazione e la partecipazione) e dei suoi collaboratori della task force Emergenze – hanno preso contatto con le istituzioni locali per attivare le azioni necessarie a garantire a tutti gli studenti il normale inizio delle lezioni (per la Liguria il 17 settembre). “Ripartiamo dalla scuola” il nome del programma, nella convinzione che il sapere i propri figli regolarmente in aula è una delle maggiori consolazioni per famiglie già seriamente e variamente provate. Lo stanziamento straordinario di 2,8 milioni di euro per garantire la continuità didattica ha inteso dare gambe al progetto.
Da più di un mese quindi si è venuta a consolidare una sinergia tra gli inviati Miur, gli assessorati e gli uffici tecnici locali, i dirigenti Usr e i presidi di Sampierdarena e della Val Polcevera (i due quartieri separati dal ponte), necessariamente sfociata in uno spirito di colleganza consolidato dalle frequenti riunioni e dai continui contatti intercorsi. Inevitabile in questa fase qualche malinteso e qualche ridondanza (anche per i tanti, forse troppi soggetti coinvolti): ma nel complesso le cose hanno funzionato, visto che da una settimana possiamo dire che tutti gli studenti sono davvero andati a scuola, e perfino con relativa puntualità. Restano, visti i vincoli ineliminabili posti dal territorio, tempi di percorrenza in certi casi enormemente dilatati, con le ovvie ripercussioni sulla vita degli studenti stessi e sull’organizzazione delle famiglie.
Ricostruzione del ponte a parte, ora si aspetta a breve la riapertura di almeno alcune delle importanti vie di scorrimento urbano ad esso sottostanti (sia stradali sia ferroviarie): solo in questo modo parte dell’emergenza descritta potrà essere superata.
Non sono mancati interventi di urgenza sugli snodi caldi (collocati nelle delegazioni del centro-ponente cittadino) per evitarne il blocco totale. Un solo esempio può dare l’idea della situazione che dobbiamo affrontare come dirigenti scolastici: ben quattro istituti superiori (nel popoloso quartiere di Sestri Ponente), frequentati in totale da circa 2mila alunni, hanno sede in alcuni isolati contigui “circondati” da due strade a più corsie ad alto scorrimento, attualmente percorse dall’intenso traffico pesante deviato dal percorso autostradale interrotto. In questo caso si sta operando per deviare (tra un mese?) il traffico pesante nella zona portuale, mentre orari e frequenza dei vari trasporti, scolastici e non, sono continuamente adattati alle esigenze.
Le azioni a favore degli alunni si sono ovviamente differenziate a seconda delle effettive necessità: dalla massima attenzione rivolta ai familiari delle vittime, alle misure compensative per gli sfollati (tra i quali un centinaio di studenti dai 3 ai 18 anni), agli interventi generalizzati per favorire a tutti la mobilità e il raggiungimento delle sedi scolastiche.
Del primo tipo di interventi ho esperienza diretta, avendo tra i miei alunni i figli di un giovane papà perito nel disastro. Per intanto sono stati attribuiti contributi in denaro, buoni libro e altre facilitazioni. Il lavoro più delicato sarà ovviamente quello quotidiano da svolgere nelle classi con i bambini, e nella relazione di sostegno e dialogo con la mamma. In questo siamo supportati dall’Istituto di Ortofonologia di Roma, ente accreditato dal Miur, nella persona del direttore, dott. Bianchi, e della sua équipe.
Le famiglie sfollate sono state destinatarie di tutta una serie di sussidi e servizi, messi in campo anche dalle iniziative caritative e di solidarietà dell’intera città. Gli studenti di queste famiglie possono inoltre usufruire di accompagnamenti a scuola personalizzati, anche con taxi. E ovviamente docenti e personale scolastico sono allertati per offrire risposte flessibili e idonee ai loro bisogni.
Gli interventi generalizzati sono consistiti innanzitutto in una capillare ricognizione (verificata con telefonate e contatti diretti) sui casi di alunni del primo ciclo (3-14 anni) in difficoltà a raggiungere la scuola qualora essa sia situata dall’altra parte della zona rossa preclusa al traffico rispetto alla propria abitazione. In questo caso, ritenendo non adeguato il ricorso al treno (in quanto meno funzionale e sicuro per ragioni di orari, linee per ora inagibili e collocazione delle stazioni) si è provveduto all’organizzazione di un servizio di scuolabus che preleva gli alunni in corrispondenza di alcune fermate delle normali linee urbane e li conduce alle varie scuole percorrendo la tratta autostradale da Genova Centro al casello di Bolzaneto (in media Val Polcevera, a nord del ponte Morandi). Percorso, come detto, dilatato nello sviluppo lineare e nella tempistica, ma per ora sufficientemente idoneo all’obiettivo prefissato. In aggiunta a ciò, sempre grazie al finanziamento Miur per l’emergenza, tutti i Comprensivi della zona hanno offerto ai propri iscritti servizio gratuito di pre e post scuola, per favorire le famiglie costrette a orari dilatati per andare o tornare dal lavoro.
In conclusione, vogliamo sottolineare che tutte le misure tecniche e organizzative sopra ricordate non possono far dimenticare lo specifico della scuola, che è di ordine educativo. Mai come in momenti come questo, la definizione della scuola come “comunità educante” sembra particolarmente centrata.
Cito a tal proposito alcuni passi della lettera aperta scritta da Stefano Piana, un docente di Campomorone (alta Val Polcevera), che ha accomunato nel ricordo due alunni di quell’Istituto, una studentessa delle medie purtroppo suicidatasi lo scorso anno e il piccolo Samuele, vittima del ponte, che avrebbe iniziato ora la terza elementare.
“È proprio dai ‘ponti’ che si sceglie di ripartire. Ricorderai che mi piace ragionare sulle parole, sulla loro storia, sulla loro origine. La parola in cui desidero racchiudere il senso del nostro percorso è ‘pontefici’. Pontefici di speranza, non alunni e non solo gli alunni. Costruttori di ponti, di ponti di speranza. Insieme si può. Possiamo superare il baratro dell’incertezza. Forse è proprio questo il compito della scuola: aiutarci a diventare tutti architetti e ingegneri di vita”.