Leggo con qualche preoccupazione, ma senza stupirmi, molti apprezzamenti positivi circa la decisione del ministro di rinunciare ai corsi di formazione iniziale degli insegnanti, limitare al minimo indispensabile la preparazione nelle scienze dell’educazione (solo 24 Cfu, meno di un mezzo anno accademico) e consentire un rapido accesso ai concorsi mediante la sola laurea disciplinare. Non mi stupisco perché i partiti oggi al governo del Paese si erano impegnati in campagna elettorale in tal senso. Speravo che l’inquilino del palazzo di viale Trastevere, uomo di scuola, sapesse frenare lo spirito di rivincita verso tutto quello che era stato fatto non sempre in modo malvagio negli ultimi venti anni per innalzare la qualità dei docenti.
Questa sorta di quasi ritorno all’antico – dico “quasi” perché la mia generazione cresciuta nel rigore della scuola gentiliana si guadagnava il posto di ruolo attraverso concorsi severissimi oggi inimmaginabili – ha diverse spiegazioni, ma la più plausibile (e anche la più discutibile) è una facile ricerca di consenso tra i giovani laureati che ambiscono a scorciare i tempi di ingresso nell’attività professionale. Lo scopo non è, dunque, quello di puntare ad una maggiore efficacia dell’insegnamento/apprendimento grazie a fresche forze giovanili, ma più prosaicamente accontentare una vasta platea in cerca di una sistemazione più agevole. Insomma ancora una volta la scuola dal punto di vista dei docenti.
Proprio nell’anno in cui l’Unesco ha deciso di dedicare la Giornata mondiale degli insegnanti (che si è celebrata il 5 ottobre scorso) al tema “Il diritto all’educazione significa diritto a un insegnante qualificato” (come dire che se non si assicurano insegnanti qualificati, viene messo in discussione anche il fondamentale diritto all’educazione), il governo gialloverde si orienta in una direzione di basso profilo professionale. Mi domando se si sono valutate tutte le conseguenze del caso.
Per concorde valutazione di numerosi osservatori dalle decisioni scolastiche assunte in questi primi mesi di governo sembra prevalere un’idea sola (del resto l’unica sulla quale M5s e Lega sono d’accordo): rendere tutto più facile. In questa direzione vanno non solo i cambiamenti che interessano la formazione dei docenti, ma anche la quasi cancellazione dell’alternanza scuola-lavoro, la liquidazione della chiamata diretta dei docenti da parte dei capi istituto con il ripristino delle graduatorie volute dai sindacati, il probabile ridimensionamento dell’Invalsi e l’avversione verso tutto ciò che, anche solo in forma indiretta, odora di valutazione.
In tutti i Paesi, avanzati e meno avanzati, si assiste a importanti investimenti sulla formazione dei docenti, sulla messa a punto di nuove metodologie didattiche, su forme organizzative meno rigide rispetto a quelle ereditate dal secolo scorso proprio per essere pronti a rispondere alle sfide epocali portate da nuove esigenze (si parla nei prossimi 10-15 anni di moltissimi lavori diversi da quelli richiesti oggi) e dalla circolazione sempre più estesa ed invasiva attraverso i social di modelli di comportamento bisognosi di vigilanza critica. Chi se non la scuola (oltre, naturalmente, alla famiglia) può formare attraverso l’esercizio culturale persone intelligenti capaci di non essere strumentalizzate?
Nessuna persona di buon senso ha mai ipotizzato di abbreviare i percorsi formativi di medici, ingegneri o magistrati semplicemente per averli attivi più giovani (il ministro Bussetti ha giustificato la liquidazione dei preesistenti corsi abilitanti anche con questa motivazione). Bisogna poi chiedersi se bastano pochi corsi di pedagogia, didattica e psicologia di brevissima durata, sganciati da qualsiasi forma di tirocinio, per preparare alla docenza mentre nelle scuole si moltiplicano fenomeni gravi come bullismo, indisciplina, aggressività, crescente circolazione di sostanze proibite, fenomeni che richiedono insegnanti vigili e preparati. Senza parlare delle competenze necessarie per trattare con alunni bisognosi di attenzioni specifiche, senza peraltro essere portatori di disabilità.
Inutile ricordare che ciò che si semina oggi si raccoglierà tra qualche decennio. Una scuola mediocre, buonista, senza docenti colti e ben formati produrrà disastri specialmente negli strati più deboli della società che non dispongono dei mezzi economici necessari per inviare i figli a studiare nelle migliori scuole e università straniere.