PARIGI — Siamo arrivati al capolinea del liceo in Francia. Una nuova riforma entrerà in vigore nel prossimo settembre e prevede un vero e proprio big-bang dell’insegnamento scolastico superiore.
Dopo le riforme che hanno visto il susseguirsi dell’insegnamento per competenze, delle valutazioni a lettere o a colori, del divieto di bocciare, la nuova riforma prevede contemporaneamente lo smantellamento degli indirizzi e soprattutto la libertà di scelta di materie (specialità) a piacere dello studente. Ci saranno solo 2 indirizzi: uno tecnologico l’altro generale. Il liceo professionale sarà anch’esso progressivamente dismesso. Troppo costoso e poco attraente per le famiglie.
Dopo il primo anno comune a tutti i ragazzi, si dovrà scegliere in funzione delle possibilità di ogni istituto: da un minimo di 7 a un massimo di 14 materie. La scelta comporterà 3 materie al primo anno (ossia al penultimo anno di liceo, poiché in Francia il liceo dura 3 anni in tutto) che diventano 2 nell’anno della maturità.
Non ci saranno restrizioni possibili nella scelta delle “specialità”. Potranno essere mantenute oppure abbandonate alla fine dell’anno. Se la materia non viene insegnata nell’istituto del ragazzo, non è importante. Potrà seguire le lezioni in un altro limitrofo. Si parla perfino di lezioni per video conferenza. Oltre a queste “specialità”, il ragazzo seguirà uno zoccolo di materie comuni. Vale a dire, francese al primo anno e filosofia all’ultimo, storia e geografia, educazione civica, lingua A e B, ginnastica e insegnamento scientifico.
Ci sarà una rivoluzione anche dell’esame di maturità. Uno scritto solo per il francese e filosofia e le 2 specialità, seguito da un orale sul modello dell’esame di maturità italiana. Le altre materie saranno valutate dagli stessi insegnanti durante l’anno.
Perché allarmarsi tanto, in fin dei conti la riforma sembra “soft” e benevola, poiché dà libertà a un ragazzo di 15 anni di scegliere le materie a cui consacrare il suo tempo e energie piuttosto che metterli in studi noiosi e inutili. Questo, infatti, è il punto cruciale.
Che il sistema sia al collasso e moribondo è un dato di fatto. La diagnosi è presto stabilita. Ma perché decretare una morte così traumatica? Perché ghigliottinarlo in un modo così violento? Quale è la logica di un tale agire?
I contenuti della riforma non sono certo nuovi. Già nel lontano 1997, l’allora ministro, Claude Allegre, provò a “sgrassare il Mammoth”. Espressione infelice che passò alla storia. Dopo qualche mese di tergiversare e di lotte di piazza, la riforma fu ritirata, il ministro ringraziato e le riforme poste nel cassetto. Ma vent’anni dopo, il grosso del battaglione dei professori sessantottini sono andati in pensione. Quindi, ora, il ministro può procedere quasi indisturbato nell’applicazione.
Un primo “fil rouge” della riforma si può trovare nella riduzione delle materie e quindi delle ore di lezione cioè i posti di lavoro degli insegnanti. Da calcoli sindacali, non smentiti dalle fonti governative, si stima a 2600 posti in meno per quanto riguarda la scuola pubblica e circa 500 per la scuola privata paritaria. Quindi, possiamo stimare a circa un centinaio di licei che saranno chiusi su tutto il territorio francese.
Un secondo elemento possiamo intravvederlo nella continuità dell’insegnamento per competenze. Se infatti, un ragazzo ha le competenze necessarie a livello scolastico, perché non dovrebbe scegliere il suo percorso? La logica ineccepibile cancella, tuttavia, gli ultimi ruderi di liceo cosiddetto “classico” cioè come l’abbiamo conosciuto. Il sistema merita certo una trasformazione, ma aveva una sua coerenza e autorità: l’insegnante poteva comunicare contenuti ed esigenze con una continuità pedagogica e formativa. Ora, quale senso può avere insegnare in funzione di chi sceglie? Se lo studente può praticare lo zapping alla fine dell’anno? Questa volontà viene rafforzata dal fatto che la scelta delle cosiddette “specialità” spetterà unicamente all’allievo e alla sua famiglia senza che il consiglio di classe possa emettere parola. Può eventualmente suggerire una bocciatura se i voti a fine anno sono insufficienti. Nel tal caso, la decisione finale spetta sempre alla famiglia.
L’argomento avanzato che il ragazzo sarà più motivato quando sarà lui a scegliere, decade alla luce dei fatti. Questa libertà è pura illusione. La volontà delle riforma di dare la possibilità di “aprire degli orizzonti nuovi” grazie alla sua scelta si scontra con la dura realtà dei criteri di selezione imposti dalle scuole superiori o dalle università. Infatti oggi ogni ragazzo, in teoria, può scegliere qualsiasi formazione superiore indipendentemente dal suo indirizzo di studi. In realtà, ogni istituto richiede delle competenze e conoscenze legate a certe materie. Quindi in pratica il ragazzo è obbligato, per esempio, a seguire biologia, fisica e matematica, se vuole iscriversi in una facoltà di medicina o di ingegneria. Può certamente scegliere “teatro” o lingua e cultura dell’antichità ma a scapito di ridurre le possibilità di essere selezionato dalle formazioni da lui scelte.
Un’ultima riserva alla riforma è a riguardo di un certo decadimento della funzione del liceo: da istruttiva a quella di centro di formazione.
Non a caso, il testo della riforma è stato accompagnato da un documento in cui si fanno previsioni sui nuovi lavori all’orizzonte del 2030 e il 2050. Per la maggior parte, non si conoscono i mestieri del futuro. Ma si afferma con certezza che “il lavoro a tempo indeterminato sarà un’eccezione”. Il futuro lavoratore dovrà essere preparato a periodi di “cassa integrazione tecnica” in cui si formerà in funzione delle esigenze lavorative del mercato. Questa flessibilità lavorativa ha bisogno di forze umane duttili. A cosa serve un liceo in cui si studiano materie speculative come latino, greco (che peraltro sono mantenute anche se in via d’estinzione), storia, lettere che danno una cultura ma nessun fine applicativo concreto? Un sapere che interessa unicamente allo sviluppo riflessivo della persona? Che interesse possono avere le imprese e il mercato a formare teste che pensano?
La sterilità e le contraddizioni di questa riforma si vedranno nel tempo. Intanto già grosse imprese quotate in Borsa devono ricorrere a formazioni interne per i loro dirigenti. Quelle più gettonate sono storia dell’arte e filosofia — mi diceva una professoressa di facoltà poiché “questi alti dirigenti conoscono perfettamente i processi di applicazione e di funzione dell’impresa. A un tal livello che quando si verifica un problema o un imprevisto al di fuori dello schema previsto, sono incapaci di pensare e immaginare una soluzione. Da qui, il bisogno e il ricorso di formazioni in cui si spiegano pittori, quadri, o monumenti architettonici attraverso i quali si percepire un’altra visione del ‘mondo’”.