Gattaca! La recente notizia del disegno di legge che prevede l’introduzione di sistemi  biometrici e di videosorveglianza per la verifica dell’identità nelle amministrazioni pubbliche e quindi nelle scuole mi ha fatto immediatamente ricordare il film degli anni 90. In quella finzione cinematografica il protagonista faceva “carte false” (sarebbe più corretto dire “retine e polpastrelli falsi”) per superare i sofisticati controlli biometrici del centro spaziale (i cinefili scuseranno la rozza semplificazione della trama); ora la realtà rischia di inverarsi in qualcosa di più di un’analogia evocativa.



Immediatamente dopo, superato lo stupore per la fervida inventiva governativa (peraltro passata quasi sotto silenzio), mi è sorta la domanda sul chi trarrà vantaggio da un’operazione simile. Dotare tutta la pubblica amministrazione di sistemi di tal fatta non sarà  sicuramente uno scherzo dal punto di vista economico ed evidentemente una valutazione costi-benefici (tanto di moda di questi tempi) avrà portato a intravvedere innumerevoli vantaggi. Di certo ci sarà più di qualcuno che legittimamente ne ricaverà un effettivo guadagno. Qualche intraprendente manager, dalla vista lunga (biometricamente sostenibile, è il caso di dire) avrà sicuramente solcato più di un corridoio ministeriale per presentare l’immaginifica innovazione, trovando evidentemente entusiastici consensi (anche questa può essere fantascienza o fantaqualcosa, fate voi).



Infine la domanda vera è: chi paga o pagherà? Eh sì, perché le strabilianti novità hanno un costo, quindi qualcuno dovrà pagare. E quando si arriva alla scuola la risposta assume contorni se possibile ancora più drammatici. Infatti, l’introduzione di tutte le novità di questi ultimi tempi, digitalizzazione delle segreterie, semplificazione amministrativa, trasparenze varie fino all’ultima innovazione del regolamento europeo sulla privacy hanno coinciso con l’incremento di impegni di spesa, non solo per l’ammodernamento delle attrezzature, ma anche e soprattutto per consulenze, figure esperte, “pacchetti” applicativi e via discorrendo. Spese che inevitabilmente sottraggono risorse al nocciolo della questione, allo scopo di quella parte di amministrazione pubblica, molto particolare, che è la scuola, cioè didattica e studenti.

A questo punto è veramente necessario fare una valutazione costi-benefici e dirottare al servizio dell’istruzione il manipolo di cervelloni che è impegnato sulla Tav.

Cito solo a titolo di esempio l’istituto dove lavoro (di titolarità, poiché ne ho uno anche in reggenza) che è costituito da 7 plessi, quindi è prevedibile che necessiterà di 7 sistemi di sorveglianza biometrica e di videosorveglianza gestiti, presumo, da un adeguato sistema di controllo hardware e software, il tutto supportato da un imprescindibile pacchetto di assistenza e manutenzione. Bene! Immaginate un costo e moltiplicatelo per circa 8mila, tanti sono gli istituti scolastici statali. Tutto ciò a fronte dell’azione di prevenzione dell’assenteismo.

Ma nelle scuole il problema principale non è “chi timbra” e se ne va, ma la qualità del lavoro nel mentre si è “in classe” e per quanto riguarda docenti e dirigenti anche la qualità del lavoro fatto al di fuori del contesto lavorativo; qualità fatta di relazioni umane, competenza disciplinare, esercizio di leadership, disponibilità alla formazione, approccio positivo all’innovazione e alle quotidiane questioni problematiche ecc.

Con questo non voglio certo dire che a scuola non ci sono mai assenti. Ce ne sono, ma è anche molto semplice sapere chi e quanti sono, le motivazioni e la frequenza per cui lo sono; tutte inquadrabili peraltro nelle possibilità offerte dal contratto di lavoro. Il ministero quindi, di conseguenza il Governo, ha già a disposizione gli strumenti per potere avere tutte le informazioni in tempo reale ed eventualmente decidere se porre in essere dei correttivi contrattuali tesi a ridurre il fenomeno e tutto ciò senza mettere in campo neppure il controllo della misura delle scarpe. Ma è questo che si vuole veramente?

Non è che si sta pensando che una volta “meccanizzato” il sistema degli ingressi e delle uscite si potrà considerare risolta la questione, trovato un sistema che ci permetta di “non essere buoni” (T.S. Eliot), cioè di non giocare fino in fondo la nostra libertà. Ma a scuola proprio di questa c’è bisogno quotidianamente: ai “miei” docenti e tutti insieme ai nostri alunni dobbiamo poter dire ogni giorno: oggi sono qui con tutto l’impeto che la mia libertà mi consente.

Solo così si attiva un processo educativo, la dinamica dell’insegnamento e dell’apprendimento. Sono qui per questo e non per una macchina che mi scansiona.