Caro direttore,
non c’è niente di peggio, nella scuola e fuori di essa, che predicare bene e razzolare male. Se poi lo fanno degli educatori c’è di che preoccuparsi. Invitare ad un dibattito serio sull’educazione alla legalità ed alla cittadinanza e scrivere poi, come fa il collega di filosofia Eva nel suo contributo, che separare le regole dalla vita e dagli argomenti normalmente studiati a scuola è un errore madornale significa ignorare in radice che, attualmente, diritto e Costituzione non sono tra gli argomenti normalmente studiati a scuola e quindi la separazione è in atto ora e non nel futuro.
Chi scrive il contrario o è in malafede o immagina che il suo microcosmo rappresenti l’universo scuola ed è, in ogni caso, facilmente smentibile chiedendo lumi al primo studente che passa per strada.
Che la vita, poi, sia permeata dalle regole giuridiche tanto presenti quanto ignote ed ignorate non solo agli e dagli studenti ma persino da ministri che parlando di lasciar marcire in galera ignorano Beccaria e l’art. 27 della Costituzione, è una banalità della cui scrittura mi vergogno persino.
Ma Eva scrive che un’ora in più di studio della Costituzione sarebbe afflittiva per i poveri studenti italiani.
Se poi all’incoerenza si aggiunge anche la scarsa dimestichezza (implicita in percorsi universitari diversificati) con i temi su cui si pretende di pontificare, il risultato è assicurato: siamo, a mio giudizio, non nell’ambito di un dibattito serio ma nel pieno delle discussioni da bar sport molto diffuse anche su temi complessi.
Il giudizio è drastico ma provo a motivarlo partendo da un’osservazione banale: come si può educare o essere educati al rispetto delle regole se le si ignora?
Cè un passaggio illuminante nell’articolo di Eva che contribuisce a chiarire l’inconsistenza delle sue critiche alla proposta dell’Anci ed è quello in cui sostiene che spiegare le regole quando necessario basta e avanza. Il resto è superfluo e quindi dannoso.
Chi decide quando è necessario spiegare le regole? Chi non le conosce? Chi potrebbe volerle ignorare per impostazione ideologica?
E poi chi le spiega le regole, il collega di filosofia che ignora e mistifica la funzione dei Tar in relazione alla correttezza delle procedure amministrative anche nelle scuole?
Chi la spiega agli studenti la funzione rieducativa della pena, la pluralità dei gradi di giudizio e la presunzione costituzionale di innocenza, il collega di lettere o di matematica le cui conoscenze giuridiche sono pari a zero?
Come si può addirittura pensare che studiare la Costituzione (e magari pure il Codice della strada visti gli incauti esempi citati da Eva) sia un altro modo, come sostiene nel suo articolo, di eludere il problema dell’educazione alla legalità?
Per la verità la corrente di pensiero della educazione alla legalità senza le leggi a cui si ispirano i due contributi di Contu e Eva, entrambi decisamente contrari alla proposta di legge dell’Anci volta ad introdurre una disciplina con monte ore e valutazione mai previsti per “cittadinanza e costituzione”, è una corrente di pensiero antica e risale ai tempi del ministro Gelmini cui va il “merito” di aver eliminato lo studio del diritto e della Costituzione in buona parte delle scuole superiori italiane, licei compresi, come pure di aver inventato la materia fantasma citata prima.
Immagino che il collega Eva insegnando in una scuola alle prese con le novità dell’Esame di Stato si stia ponendo il problema delle conoscenze di “cittadinanza e costituzione” che dovranno essere oggetto di valutazione durante i colloqui che si svolgeranno a giugno prossimo.
Visto che “cittadinanza e costituzione” semplicemente non esiste, quali conoscenze potranno mai dimostrare di aver acquisito gli studenti italiani?Come pensa Eva di ovviare? Proponendo l’Apologia di Socrate al posto della conoscenza del contenuto dell’articolo della Costituzione ignorato dal ministro Salvini?
L’altra argomentazione usata da Eva (il timore per lo Stato etico di cui scriveva incautamente qualche anno fa pure una illustre firma del Corriere, ignara della circostanza che “cittadinanza e costituzione” non ha né monte ore né valutazione) e cioè che la scuola che facesse studiare il diritto e la Costituzione si sostituirebbe ingiustamente alla famiglia, sembra veramente anacronistica, non fosse altro perché lui stesso parla dei genitori che parcheggiano in terza fila.
Se il modello familiare corrente non è esattamente quello dell’educazione al rispetto delle regole, perché mai la scuola pubblica statale non dovrebbe supplire? E cosa teme Eva, che l’educazione alla legalità sia eversiva?
Quando Eva parla, infine, della proposta dell’Anci come frutto estemporaneo di sindaci poco impegnati nel proprio lavoro evidentemente ignora quanto è accaduto nei dieci anni che ci separano dalla teorizzazione dell’educazione alla legalità senza leggi.
Eva non conosce, evidentemente, l’esistenza del progetto di legge Ruta presentato in Senato nella scorsa legislatura il cui contenuto ricalcava la proposta Anci.
Gli segnalo anche tutta una serie di iniziative che hanno visto promotori, in questi anni, i docenti del Coordinamento nazionale dei docenti di Diritto e recentemente anche l’Associazione Apidge.
Sono passati anche dieci anni da un appello firmato tra gli altri da Stefano Rodotà, Alessandro Pace, Moni Ovadia, Rita Borsellino, don Tonino Palmese, Claudio Fava, Giovanni Impastato ed altre 2300 persone perché si continuasse a studiare il diritto e la Costituzione nelle scuole.
Così non è stato e i firmatari di quell’appello devono aver ispirato il senatore Ruta prima e poi quei pericolosi perdigiorno dell’Anci. Ma dovevano essere tutti indirizzati, come scrive Eva, ad una scarsissima attenzione per la discussione razionale.