“In Danimarca un bambino quando nasce trova in dote un voucher per la sua formazione futura”. Basta questo piccolo esempio, citato da Francesco Profumo, già ministro dell’Istruzione nel governo Monti, per capire quanta strada l’Italia abbia da compiere per innovare e ammodernare il suo sistema scolastico ed educativo.



L’occasione per parlarne è stata la presentazione a Milano – promossa dal gruppo PtsClas – del libro Leadership per l’innovazione nella scuola (il Mulino 2018), di cui Profumo stesso è curatore. Il volume raccoglie dieci piccoli saggi di autori a vario titolo protagonisti attivi nel mondo della formazione e della scuola, che intervengono su temi decisivi come leadership, capitale professionale e tecnologie digitali. L’obiettivo? Coinvolgere i protagonisti (i dirigenti scolastici, che sono i “registi” della scuola, e i docenti, paragonati a “direttori d’orchestra”) e muovere le leve necessarie (a partire dalle tecnologie, che devono diventare sempre più strumento più che tormento) per un cambiamento.



“La prima rivoluzione industriale – ha ricordato Profumo – è durata 80 anni, la seconda 40, la terza 20 e oggi siamo già entrati nella quarta rivoluzione industriale. Quanto durerà non lo sappiamo, quel che sappiamo è che tutto procede molto speditamente. E quindi presto la scuola dovrà fare i conti con una nuova missione: insegnare a imparare più che fornire competenze che sono destinate a essere bruciate in fretta”. Non solo: “Oggi più che mai è necessario un Patto per la scuola”, che coinvolga la politica, superando la logica delle riforme a colpi di maggioranza, di breve respiro e che portano spesso i vincitori delle elezioni a buttare a mare tutto ciò che è stato deciso nella legislatura precedente. Un approccio perdente, come dimostrano i casi virtuosi di Danimarca e Finlandia, che hanno investito nella scuola (altra lezione: la formazione non è un costo da tagliare, ma un investimento per il futuro) con una programmazione ventennale.



Quindi, riflettere a fondo per cambiare, innovare, modernizzare: ecco il leit motiv dell’incontro. Ma come? Coordinati e pungolati da Luisa Ribolzi, i discussant hanno fornito la propria ricetta, a cominciare da Attilio Oliva, presidente di Treellle (l’associazione, tra l’altro, presenterà a breve una proposta articolata di “tempo lungo” a scuola), che ha sottolineato come la scuola in Italia abbia bisogno di un profondo ripensamento organizzativo. “Sono tre le figure che guidano una scuola – ha detto Oliva -: il preside, il consiglio d’istituto e il collegio docenti. Gli ultimi due organi sono da ripensare, altrimenti anche un preside bravo si trova nell’impossibilità di trasformare la scuola”. Come uscirne? “Ci vogliono valutazione dei docenti e meritocrazia: il preside deve avere la possibilità di premiare davvero gli insegnanti più bravi, dopo un’attenta selezione, e pescando proprio tra i premiati, tra i migliori, deve poi scegliere un ristretto nucleo che lo aiuti nella gestione e programmazione”.

Una sfida lanciata verso il futuro che la scuola saprà raccogliere? I casi di eccellenza non mancano, ma secondo il presidente di Indire, Giovanni Biondi, “oggi il sistema educativo italiano deve fare ancora i conti con un modello didattico, con spazi, cioè aule, banchi e scuole (in gran parte fatiscenti), e con orari pensati quando il compito della scuola era alfabetizzare”, mentre oggi è necessario puntare di più sulla personalizzazione.

Ma per fare questo la scuola italiana deve compiere un passo deciso e decisivo, che si chiama autonomia. E invece, nonostante sia alle porte un processo di autonomia differenziata per alcune Regioni, l’impressione generale è che il pendolo della storia stia tornando a oscillare verso un – malaugurato – ritorno in auge del vecchio centralismo.

Sensazione avvalorata, a chiusura dei lavori, dall’onorevole Valentina Aprea, che non ha esitato a puntare il dito contro i passi indietro – dall’alternanza scuola-lavoro, cancellata nel silenzio generale, alla meritocrazia nei concorsi, di fatto annullata – compiuti dal nuovo governo. Ma Aprea non si arrende all’idea che la scuola italiana non possa evolvere, guardando al futuro. Un futuro che si dovrà invece giocare, fin da subito, lungo tre direttrici: più formazione duale, più spazio alle tecnologie (l’idea è quella di poter inserire nei programmi scolastici il coding, cioè il linguaggio delle macchine) e più internazionalizzazione.