A chi non pace il titolo (Documento sulla Fratellanza Umana), non piaceranno nemmeno i contenuti, eppure questa dichiarazione non solo segna una tappa fondamentale nel percorso del dialogo tra cattolici e musulmani, ma rappresenta qualcosa di storico. Si sta parlando ovviamente del “manifesto” comune firmato dal papa e dal grande imam di Al-Azhar al termine della visita pontificia ad Abu Dhabi (4 febbraio 2019).



Il papa è Francesco e della propensione ad incontrare le culture apparentemente più lontane già si sapeva. E l’islam? Questo testo smentisce il pregiudizio di un islam chiuso, almeno per quanto riguarda Al-Azhar, il centro religioso e culturale più importante d’Egitto e cuore dell’islam sunnita. Sul sito dell’istituzione si legge che essa ha contribuito enormemente alla diffusione dell’islam, della conoscenza islamica e della lingua araba. Nell’incontro col papa Al-Azhar era rappresentata dal grande imam al-Tayyib, la maggiore autorità sunnita, che già aveva incontrato Francesco nella visita in Egitto del 2017.



L’imam ebbe in passato contrasti con la Santa Sede, ma poi il riavvicinamento fu favorito anche dalla preziosa opera mediatrice del cardinale Tauran. Durante la rivoluzione egiziana l’imam era stato promotore di un appello che chiedeva uno Stato basato sulla separazione dei poteri e garante della piena uguaglianza per tutti i cittadini indipendentemente dalla loro religione. Il bello è che l’origine di tale legislazione Tayyib la ricavava dalla sharia islamica, intesa però come sfondo culturale e non come fonte di diritto positivo.

Tutto questo per dire che gli interlocutori che si sono confrontati negli Emirati Arabi non hanno giocato al ribasso e alla svendita delle reciproche posizioni. Tutt’altro. Se si vuole avere la prova di un cristianesimo all’attacco nel tentativo di erodere il nichilismo contemporaneo, anche di matrice islamista, si può guardare al documento in questione. D’altra parte, se si vuole avere la prova dell’esistenza di un processo di ripensamento dei princìpi dell’islam a confronto col sistema dei diritti della modernità, si può ancora fare capo al documento.



Ma in sostanza il testo cosa dice? Anzitutto introduce il tema della fratellanza umana: persone che portano nel cuore la fede in Dio devono unirsi e non combattersi. Dio, è scritto ancora, ha proibito di uccidere affermando (attenzione!) che “chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera”. Parole scontate, si potrebbe osservare. Non è così. Si passa, infatti, ad indicare ad un certo punto il metodo, che è quello della cultura del dialogo. Non prima di avere analizzato le cause della crisi contemporanea, provocata da una “coscienza umana anestetizzata”: categoria fondamentale che presuppone, primo, che l’uomo abbia una coscienza individuale e, secondo, che la possa usare bene o male. L’uomo insomma nasce libero e non programmato deterministicamente. Infatti, può decidere se affidarsi al predominio dell’individualismo e alle filosofie materialistiche, o no. Insomma, ed è la “querelle” dei nostri tempi, non è la religione a fomentare la guerra ma appunto l’indebolimento “dei valori spirituali”.

Certo si parla nel documento di “estremismo religioso”, concetto scomodo per molti, soprattutto se posto all’origine di quella “terza guerra mondiale a pezzi” alla quale fa spesso cenno l’attuale magistero pontificio. Andando più al fondo, la dichiarazione individua la scaturigine ultima dei conflitti attuali nelle tendenze individualistiche ed egoistiche che solo “il risveglio del senso religioso” e la necessità di rianimarlo nei giovani attraverso l’educazione possono contrastare.

È molto impegnativa, nel documento, e molto articolata, la parte dedicata all’uso politico delle religioni, fomentatore di odio tra gruppi che nulla ha a che vedere con la verità della religione.  Le parole del testo a questo punto sono molto semplici e richiamano ad un’evidenza antica e però dimenticata: Dio non ha creato gli uomini per essere uccisi o per scontrarsi tra di loro. Dio, l’Onnipotente, inoltre, non ha bisogno di essere difeso da nessuno. Il medesimo argomento è toccato là dove si condanna il terrorismo, che oggi (non lo dice il testo ma lo si ricava) secondo le analisi più aggiornate ha una matrice chiaramente riconducibile alla violenza islamista.

Tali atti, qui lo si dice, non sono dovuti alla religione, anche se i terroristi la strumentalizzano, ma alle interpretazioni errate dei testi religiosi, nonché alle politiche sbagliate che hanno seminato ingiustizie, fame, povertà, ecc. In questo caso, l’ammissione che i libri sacri si possano interpretare e non applicare alla lettera, è pesante.

Su quali presupposti si fonda allora il dialogo? Anche l’osservatore più scettico non può non meravigliarsi per il fatto che, a questo punto, viene introdotta la prospettiva del diritto. Un’ampia sezione è infatti dedicata al tema della promozione dei diritti e dei doveri. Quali? Se il diritto ad una piena cittadinanza è enunciato con uno sguardo rivolto, forse, all’Occidente sovranista che si chiude sulla difensiva al solo parlare di piena integrazione degli immigrati, non c’è dubbio che i diritti all’istruzione e alla partecipazione politica delle donne, per non parlare di quelli dei bambini a non essere feriti da pratiche che ne violano la dignità, sono enunciati con un’attenzione particolare a situazioni diffuse in quelle regioni che definiamo sbrigativamente Oriente.

I due emisferi della geopolitica, si dice infine, dovrebbero tornare a dialogare per scambiarsi i rimedi dalle malattie che li affliggono. Al di là delle parole che possono apparire retoriche, l’impegno alla reciprocità può essere il mezzo che con pazienza è destinato a dissodare il terreno del confronto. Il manifesto si augura in conclusione di diventare oggetto di ricerca e riflessione nelle scuole, nelle università e negli istituti di educazione e di formazione. È un buon auspicio che raccogliamo con questo rilancio. 

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