Caro direttore,
nella sua riforma dell’esame di Stato il ministro Bussetti sta commettendo una serie di errori. Il motivo è che il responsabile dell’Istruzione è partito col piede giusto, poi ha tradito l’esigenza di cambiamento che lo aveva mosso all’inizio. Ora dovrebbe fermare un attimo il processo e fare un passaggio intermedio, dicendo, con grande senso del realismo, “per la riforma ne parliamo tra un anno”.



Il modello che il ministero sta proponendo innanzitutto mette in difficoltà studenti e studentesse, costretti ad affrontare un esame che sta cambiando in corso d’opera. Certo che la vita è fatta di imprevisti, e che gli imprevisti fanno crescere, però non è detto che li si debba creare e in modo così artificioso



Proviamo di riandare all’esame, mettendo a fuoco qual è stato il punto di partenza del ministro. La prima esigenza di cambiamento era quella di proporre un esame che sapesse valorizzare ciò che studenti e studentesse hanno saputo imparare e che permettesse loro di esprimere al meglio le loro capacità critiche e creative. La seconda esigenza era quella, e il ministro Bussetti la va ripetendo continuamente, di fare un esame che fosse in relazione con ciò che si è studiato durante l’anno. La terza esigenza era uno snellimento della burocrazia, per avere un esame più leggero ed efficace. Bussetti era partito bene, aveva recepito l’eliminazione della terza prova, che di fatto era il nozionismo fatto diventare regola, e poi aveva cambiato la prima prova rendendola di stampo più critico, valorizzando l’approccio personale ai testi e la loro rielaborazione.



Poi, però, ha preso una strada del tutto sbagliata perché non ha seguito gli spunti iniziali. Ha così creato una seconda prova doppia, latino e greco al classico, oppure fisica e matematica allo scientifico, e mentre ha costruito un simile obbrobrio il ministro continua a dire che “però si proporranno cose già fatte a scuola”. Ma oggi dove si vede in una scuola italiana una prova a due teste? Potrebbe anche essere la rivoluzione delle rivoluzioni, una super innovazione didattica, ma oggi non fa parte della vita della scuola. E inventarla per un esame è segno di una mancanza  di sensibilità nei confronti di chi dovrà affrontare l’esame. Non lo sa il ministro Bussetti che un ragazzo o una ragazza che va ad affrontare un esame è già ansioso di per sé e usarlo come cavia di un esperimento è quanto di più controproducente ci possa essere?

Passiamo al colloquio dove il ministro per essere coerente con l’esigenza di un esame moderno avrebbe dovuto mantenere la tesina, che si stava affermando come l’elemento decisivo dell’esame, perché in una tesina ogni ragazzo e ragazza metteva se stesso. Invece il ministro cos’ha fatto? Ha eliminato la tesina. Complimenti! E siccome non gli è bastato questo, ha completato l’errore con un colloquio costituito da tre momenti che sono disgiunti l’uno dall’altro. Prima sarebbero gli insegnanti che scelgono dei temi, naturalmente affrontati durante l’anno, almeno questo!, e fanno estrarre a sorte a studenti e studentesse un argomento fra i tre che vengono presentati, e da questa estrazione inizia l’esame. C’era proprio bisogno di arrivare a questo in un esame di Stato? Poi il candidato o candidata esporrà il lavoro fatto nelle attività dedicate alle competenze trasversali (come l’alternanza scuola-lavoro) e infine dovrà documentare ciò che ha acquisito in tema di cittadinanza. Per tutti questi motivi l’esame rischia di essere un caos. Potranno salvarlo solo insegnanti e studenti se dentro questo magma informe sapranno far valere ciò che hanno imparato durante gli anni di scuola, se riusciranno a dare un’impronta personale al tutto. Infatti essere cresciuti ed essere diventati maturi in questo edificio malfermo significa una cosa semplice, prendere in mano la situazione per parlare di sé, per comunicare ciò che interessa e per testimoniare la propria impronta critica e creativa. Aspettando che il ministro Bussetti faccia un passo indietro e ricominci da capo.