Si dice spesso che la scuola statale italiana è “alla frutta”, e purtroppo non è una fake news. È anche vero, però, che ci sono qua e là delle realtà vive e originali, anche nella scuola statale, che possono dare indicazioni interessanti per tutto il sistema di istruzione. Un esempio è quello raccontato in questi giorni da Gianni Mereghetti sull’esperienza della scuola Pietro Leone di Caltanissetta. Un altro è quello che è accaduto a Forlì all’inizio del mese di marzo, con la seconda edizione della “Giornata del Prof”.



Si è trattato, all’apparenza, di un normale corso di formazione per docenti delle scuole superiori, ma che di “normale” in realtà ha assai poco. Innanzitutto perché esito di una fruttuosa collaborazione fra un’associazione di promozione sociale (l’associazione Aiuto Adolescenza), che ne ha curato l’organizzazione ed elaborato contenuti e metodi, due istituti superiori (l’Itc Carlo Matteucci e l’It Saffi-Alberti) che hanno messo a disposizione strutture, spazi e personale e l’Ufficio scolastico regionale; poi, perché partecipato da oltre 100 insegnanti di diverse scuole superiori per il secondo anno consecutivo, in un orario pomeridiano piuttosto impegnativo dopo una mattina di lezione: dalle 14,30 alle 19,30. Infine, per l’originalità dei contenuti, che quest’anno sono stati svolti sul tema “Le relazioni nella scuola”.



L’incipit della locandina è una frase di Albert Einstein: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”.

Perché questa frase di Einstein? Perché la scuola, spesso, anziché guardare con curiosità e affetto (la parola affetto viene dal latino afficere, cioè toccare, commuovere lo spirito), quindi con empatia i giovani, rischia di metterli dentro uno stampo preformato, mortificandone le potenzialità e i talenti. Insegnare, di conseguenza, rischia di diventare un rito stanco e ripetitivo, un’asettica trasmissione di contenuti che genera noia sia negli studenti che nei docenti.



Il corso ha voluto proporre per il secondo anno un percorso atto a rimettere in moto il desiderio di guardare con curiosità gli studenti e i colleghi, orientato a recuperare il gusto del proprio lavoro e quella inventiva che può permettere di realizzare “forme nuove” di insegnamento, attente alla molteplicità delle intelligenze e adeguate a far emergere i talenti. Non solo quelli dei ragazzi che si hanno di fronte, ma anche quelli degli stessi docenti, che a causa di un contesto di lavoro non sempre stimolante e stritolato dalla burocrazia, finiscono per dimenticare la passione educativa che li ha mossi all’inizio e per seppellire la ricchezza delle proprie capacità creative.

Il tema proposto dal corso di quest’anno, le relazioni nella scuola, a questo fine risulta di cruciale importanza. In un contesto come quello attuale, infatti, caratterizzato da un’elevata conflittualità, è evidente che si va a toccare un tasto delicatissimo. Dice un proverbio africano: “per educare un bambino ci vuole un villaggio”. Oggi più che mai è vero, per insegnare, per educare, occorre una “alleanza”: fra i docenti, con tutto il personale che lavora nella scuola (anche i bidelli), con le famiglie! Invece, spesso, prevale l’individualismo e talvolta pare una guerra di tutti contro tutti. Appare evidente, oggi in particolar modo, che il buon insegnante competente nella propria disciplina non basta più. Occorre lavorare in team, fare rete, confrontarsi molto per imparare l’uno dall’altro, aiutarsi a guardare sé stessi e gli altri con curiosità e stima.

Il metodo di lavoro utilizzato nel corso ha voluto proprio rappresentare una esemplificazione di questo: un incontro introduttivo in plenaria con un relatore “di peso” come Michele Faldi, direttore Offerta formativa, promozione, orientamento e tutorato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha valorizzato molto, in modo semplice e concreto, il valore di ri-conoscere e condividere  lo scopo del fare scuola, l’importanza del desiderio di bene per sé e per gli altri (l’essere orientati all’altro) e della disponibilità ad imparare ancora; a seguire, i docenti si sono divisi in gruppi per partecipare ad alcuni workshop su temi di grande rilevanza oggi nella scuola, trattati però attraverso la presentazione di esperienze innovative:

“Il cielo in una stanza: comunicare in classe non è solo parlare”; “Asl: fare scuola è davvero “un’impresa”; “Intelligenza e mani: la conoscenza come introduzione alla realtà”; “Tutor-agio”; “Stranieri in patria: la sfida delle classi multietniche”.

Dopo il coffee break e la consegna di una borsa di studio dedicata a una docente dell’Itc che ha lasciato un grande segno nella scuola per la sua straordinaria sensibilità educativa, le conclusioni in plenaria.

La cosa più interessante, emersa in questa fase, è stata che il tema delle relazioni, della possibilità e della bellezza del lavorare insieme, della riscoperta del desiderio che il proprio lavoro sia un’avventura appassionante, della necessità/utilità dell’essere aperti a imparare, trattati verbalmente nell’incontro introduttivo, hanno trovato una attuazione persuasiva e affascinante nei laboratori, diventando così l’evidenza di un’esperienza possibile. Come ha detto Faldi in conclusione, “sono venuto non perché avessi delle cose particolari da dirvi, ma soprattutto perché incuriosito dalla proposta; vado via con la certezza che se in Italia ci fossero tante esperienze come quella che oggi ho incontrato, la scuola potrebbe davvero rifiorire”. C’è una meta, e c’è anche la strada.