Ricorrono – purtroppo – con sempre maggiore frequenza nelle cronache quotidiane notizie di maltrattamenti e violenze scolastiche compiute da insegnanti ai danni di bambini, specialmente quelli più piccoli. Quanto siano odiose queste azioni e quanta legittima preoccupazione accompagni i genitori quando lasciano i figli alle cure delle maestre (e dei pochi superstiti maestri) sono fatti evidenti a tutti.
Ci si può chiedere come mai si stiano moltiplicando queste situazioni e le conseguenti denunce. Non credo che i nostri tempi siano più violenti del passato, anzi forse è il contrario. Molti casi emergono perché, fortunatamente, è aumentata la sensibilità verso la tutela dell’infanzia e azioni che in passato restavano circoscritte nel piccolo ambiente della singola scuola salgono alla ribalta della cronaca.
L’idea che qualche scappellotto fosse ammesso come azione correttiva fino a qualche decennio fa era corrente (e spesso addirittura auspicata), oggi non è più così. Ci sono molte altre e più efficaci iniziative per orientare i comportamenti deplorevoli.
Pedagogisti e psicologi in questo campo hanno aiutato a compiere sul piano educativo significativi progressi non a rimorchio, come qualcuno si ostina ancora a sostenere, di un presunto buonismo, ma per ragioni intrinsecamente educative.
Resta da chiedersi perché – nonostante questo importante cambio di mentalità – persistano diffusi casi di maltrattamenti e di violenza e la convinzione che il fenomeno vada trattato principalmente sotto il profilo emergenziale o semplicisticamente ricondotto entro l’orizzonte del disagio professionale. Questo è possibile per varie ragioni.
La prima è una certa complicità degli altri insegnanti che, pur deplorando il “vizietto” del collega o della collega, fanno finta di niente in nome di una malintesa solidarietà. Chiunque ha qualche esperienza di scuola sa che è quasi impossibile non vedere o non sentire quando accade qualcosa di anomalo nelle singole aule. Spesso però fa comodo non vedere e non sentire.
Una seconda ragione è poi legata al timore dei genitori di “mettersi contro” (come sbrigativamente si dice) gli insegnanti. Non si tratta di un passaggio facile e per farlo occorrono prove e testimonianze che non è sempre agevole raccogliere, senza parlare dell’umanissima e comprensibile difficoltà di mettere sotto accusa qualcuno.
Infine, non si può tacere la responsabilità dei dirigenti scolastici nelle cui mani stanno le risorse per contenere questo genere di rischi. Ma all’atto pratico essi incontrano grandissima difficoltà a perseguire una decisa azione di contrasto sul piano disciplinare e legale. Bisogna documentare i fatti, fare contestazioni, confrontarsi con le tutele sindacali… Meglio lasciar perdere e limitarsi, ad esempio, a qualche reprimenda e a spostare di continuo il docente nelle varie sezioni o nei vari plessi nella speranza che non scoppi il “caso”.
Ma accanto a ragioni legate alle singole realtà scolastiche stanno anche motivazioni strutturali connesse alle modalità di formazione e reclutamento degli insegnanti. Purtroppo i governi degli ultimi decenni non hanno perseguito una costruttiva e qualificata politica del personale. La scuola è stata concepita come un serbatoio di posti di lavoro per disoccupati. Il reclutamento è stato conseguentemente affidato per lo più a processi di anzianità approdati a immissioni in ruolo “ope legis” senza alcuna verifica dell’idoneità a svolgere la delicata professione dell’insegnante. Si è così diffusa la perniciosa convinzione che “tutti possono fare i maestri”, basta attendere il proprio turno nelle apposite graduatorie.
Questa già grave condizione di partenza è stata poi appesantita dalla carenza di iniziative di aggiornamento e formazione in servizio. Sulla carta l’aggiornamento è obbligatorio per tutti gli insegnanti, ma è affidato alla loro buona volontà senza iniziative organiche (e finanziate adeguatamente) di sostegno per corrispondere a nuove situazioni che nel tempo si sono frattanto moltiplicate e che sono sotto gli occhi di tutti.
Naturalmente siamo ben lontani dal sostenere che esista un’immediata correlazione tra gli specifici casi di maltrattamenti e violenze e le carenze della politica in materia di personale docente. Maltrattamenti e violenze sono evidenti deviazioni patologiche della professione, che non sono tuttavia ineluttabili, ma che è possibile, almeno in parte, contenere attraverso azioni preventive al momento della selezione del personale e di sensibilizzazione e formazione in servizio.
Prima di pensare alla capillare installazione di telecamere negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia (scelta rispetto alla quale non si possono fare troppe illusioni, perché nelle strutture resterebbero angoli bui e spazi inaccessibili) sarebbe più utile potenziare la sensibilità educativa delle educatrici e degli insegnanti e la loro qualità professionale.