Un mio vecchio amico professore continua a fare una cosa davvero intollerabile: chiede ancora ai suoi alunni di una scuola media milanese di leggere. Di leggere a voce alta, in particolare a quelli delle classi prime. Compreso gli alunni dislessici. In barba a tutti i curricula verticali e alle programmazioni per competenze seguendo le quali, peraltro, i suoi alunni arrivano da lui e… non sanno leggere. E nemmeno scrivere.



Ci si può lamentare sempre, come fanno tutti, che il fantasma dell’analfabetismo si aggiri nei corridoi e nelle aule delle scuole e delle università italiane e continuare a fare finta di nulla?

Quando il mio amico professore, che chiameremo Giuseppe, ha sentito leggere il suo alunno, nativo del Bangladesh ma in Italia dall’età di tre anni e con regolare percorso scolastico, ha pensato che non fosse possibile. L’alunno, che chiameremo Matteo – visto che nel suo nome ci sono più h, r, k che vocali – a sentire Giuseppe è un concentrato di tutti i problemi del mondo in ordine alla lettura. Ma ancora di più in ordine alla scrittura. Ho visto un tema di Matteo e nemmeno volendo sarei in grado di imitarne l’andamento sghembo e frastagliato, incomprensibile persino per chi ha una laurea in psicologia della forma.



Quanto hai letto, Matteo, quanto hai scritto alle scuole elementari? Non poteva, dice lui, perché era dislessico. Dispensa. Mica roba da mangiare, dice sorridendo. Dispensa dal leggere. E come hai studiato, Matteo? Che domanda è? Mica potevano fermarsi con il programma che vola veloce: la classe ha fatto tutto quello che si doveva: analisi grammaticale, analisi logica, persino qualche nozione di retorica. E la storia, la geografia. E i testi  descrittivi, argomentativi, regolativi ecc. ecc.

Ma intanto come Matteo anche Giorgio e Carlo e Antonio, milanesi, non dislessici, non disgrafici sono incapaci di leggere. E non sanno niente di storia, geografia ecc. ecc.



Quando Giuseppe, il vecchio professore, ha detto che avrebbero letto in classe a voce alta e che qualcuno avrebbe dovuto leggere a casa, esercitarsi mezz’ora al giorno, su un libro o anche sulla Gazzetta e leggere di Ronaldo, di Piatek, di Icardi e Wanda Nara, i ragazzi non ci volevano credere: mica per la Gazzetta, ma per la mezz’ora. Davvero? Ma mezz’ora è il tempo che io dedico generalmente allo studio, si è sentito dire il professore.

E come studi, piccolo Matteo o Giorgio, se non sai leggere? Non so, facevamo le mappe, risponde un altro. E come ci arrivi alle mappe, Federico? Le scarichiamo da internet, professore. Non mi sembra una buona idea, ha detto Giuseppe. Bisogna leggere ragazzi, fatevene una ragione: vi do un compito in meno, ma leggete mezz’ora al giorno a voce alta. Non vi piace quando vi leggo l’Iliade? Certo che sì, rispondono loro. Ecco, dice Giuseppe, io leggo ancora oggi a voce alta, mi esercito a casa per venire qui in classe preparato. Se lo faccio io, potete farlo anche voi.

Ma qualcuno non sta ai patti. Giuseppe se ne accorge. Prende Matteo, con le h, le r e le k; prende Giorgio e Carlo e durante la sua ora piazza loro in mano un libro. E mette tre banchi fuori dall’aula. Non possono stare in un’altra classe senza sorveglianza e non hanno un insegnante di sostegno, benché la scuola pulluli di potenziamenti e sostegni e di educatori. Ma fanno altro: forse sviluppano curricula con obiettivi trasversali, o qualche progetto interdisciplinare.

Allora la soluzione resta questa: fuori, mentre gli altri fanno un altro lavoro, quei tre leggono a voce alta. Ma non troppo, perché non si può disturbare. Ma qualcuno viene fuori lo stesso dalle altre classi, qualche prof che va a bere il caffè li vede e scuote la testa, qualche bidella si lamenta che altri si sono lamentati. Forse verranno anche i genitori, con le h o senza h, a parlare con il preside di discriminazione, integrazione o inclusione e cose del genere. Forse ci sarà tanto rumore perché, insomma, è meglio continuare ad essere preoccupati per un fantasma che si aggira nei corridoi, piuttosto che avere a che fare con  ragazzi in carne e ossa che fanno quello di cui davvero hanno bisogno. Senza scuse e senza finzioni. Senza formule strane e paroloni.

Se non sai leggere, Matteo, forse proprio tu più degli altri, sarai fregato, fatto fuori. Mica in corridoio, dalla vita. Forse ha ragione Giuseppe, ma chi è disposto a riconoscerlo?