Il sorriso un po’ imbarazzato stampato sul volto non abituato a mentire del mio vicepreside lo rivela chiaramente: questa proposta non se l’aspettava. “Domenica pomeriggio ti invito alla via Crucis che stiamo preparando con i miei amici” gli ho appena annunciato davanti alle facce divertite dei nostri alunni che fanno capolino da dietro la porta della classe. “Ci penserò” mi risponde cortese e poco convinto. “Ecco! – rilancio – bisogna porsi di nuovo la domanda sul senso di un gesto così e poi dire perché vale la pena di aderire e perché no”.



Che novità può esserci, però, in un rito che si ripete uguale da venti secoli? Il malcelato sarcasmo con cui i miei alunni di secondo anno rispondono al messaggio WhatsApp col quale ricordo loro lo stesso invito, non lascia dubbi sulla risposta al quesito appena posto. “Ses” risponde Giovanni, “Ses” gli fa eco Rosa, “Sis” chiosa Luigi variando sillaba ma non significato. “Sarà per un’altra volta, prof”, traduco in versione edulcorata.



E io, cosa mi attendo davvero da questo gesto medievale? – mi chiedo spostando su me stesso la questione.

La chiesa di Santa Maria delle Scale che sovrasta Ibla, l’antica Ragusa, ci offre lo spettacolo mozzafiato della città barocca che, come un enorme pesce si tuffa nella vallata sottostante indicandoci la strada che percorreremo. Tra le scale di pietra e le vie che si torcono per gli squarci resi noti al mondo dagli episodi del commissario Montalbano, seguendo la croce di legno che precede una quarantina di persone, anche noi, come il personaggio di Camilleri, cerchiamo di riconoscere i segni presenti di un mistero che non vuole lasciarsi seppellire nel buco nero del passato: “Egli è qui” abbiamo titolato, infatti, invitando i nostri amici alla via Crucis. Qui, perché risorto!



La Passione di Gesù rievocata dai testi di Péguy, i canti, le letture del vangelo, le meditazioni, ci aiutano ad immedesimarci con l’evento accaduto quasi duemila anni fa e che ci raggiunge oggi – afferma Checov – per “una catena ininterrotta di eventi”, per cui toccando un’estremità della catena l’altro capo trema per lo stesso tocco.

Davanti allo splendore debordante del Duomo di Ibla, però, mentre le nuvole cupe che avvolgono la Sicilia sono trafitte da raggi di sole che illuminano a sprazzi la terza stazione della via Crucis, succede qualcosa di sorprendente. Accade che il rito diviene mistero attuale.

I genitori dell’associazione che accoglie ragazzi con ritardo cognitivo medio-grave presso la quale, da volontario, propongo improbabili lezioni d’inglese, hanno aderito all’invito e ci vengono incontro per fare con noi l’ultimo tratto di cammino. Francesco e Giuseppe sono seduti nei loro passeggini, Giulia sulla sua sedia a rotelle, Daniele in piedi, stretto tra le mani di mamma e papà.

I chiodi che trafiggono i due gemelli si chiamano sindrome alfa talassemia X. Di essi conosco la storia. Nella loro umanità la sofferenza di Cristo ci raggiunge, ai miei occhi, non emotivamente o simbolicamente, ma concretamente, proprio nella modalità indicata dallo scrittore russo all’inizio del nostro gesto.

“Oh, non parlatemi più di Dio” mi aveva detto Biagio, il papà di Francesco e Giuseppe, anni fa sotto lo schianto di un “perché” che sembrava non avere altra possibilità di risposta se non nella scelta tra la cieca assurdità del caso e l’inaccettabilità di un dio indifferente o, peggio ancora, crudele. Non so se abbia cambiato giudizio, ma il suo volto di padre innamorato dei suoi figli in fondo alla chiesa di San Giacomo, ultima stazione del nostro percorso, la creatività con cui pensa ad ogni aspetto della loro vita quotidiana, il tempo che si prende per parlare di ciò che essi sono alle persone che entrano in contatto con loro anche per un solo minuto, sono impossibili oggi, salvo che per una misteriosa apertura a qualcosa che supera la nostra misura. E, inspiegabilmente, si impone come un bene per tutti.

Se Egli è qui, come abbiamo titolato nell’invito, come ci guarda? Lo so: esattamente come i genitori della mia classe speciale guardano i loro figli. Dio non fa il professore. Non misura da zero a dieci, da “non classificabile” a “eccellente”. Dal punto di vista dell’Infinito, infatti, la differenza tra le capacità cognitive permesse dall’Atrx e quelle dei miei alunni di liceo, nella sua piccolezza infinitesimale, è uguale. Per fortuna dei miei alunni normodotati, invece, neppure dal punto di vista della performance morale il Dio che muore in croce per i peccatori chiede alcunché. Dio non misura, ama e basta.

A questa via Crucis è accaduto qualcosa di impossibile e reale, come la vita che spunta proprio lì dove tutti gridano che c’è solo la morte. Chissà se il riverbero di questo fatto straordinario negli occhi di chi era presente sarà capace di fare rotolare, ancora una volta, la pietra ingombrante del nostro scetticismo?

Mario Tamburino