Un aspetto particolare di Eduscopio, la ricerca della Fondazione Agnelli che fornisce indicazioni sulla qualità delle scuole secondarie superiori partendo dall’analisi del destino lavorativo o universitario dei diplomati, ha suscitato quest’anno un insolito interesse: la massiccia presenza in classifica, nelle prime posizioni, di un rilevante numero di scuole paritarie.
Ma come, non erano tutti diplomifici, in cui i ragazzi benestanti ma un po’ stupidi barattavano la qualità della formazione in cambio di una retta? E invece, toh! I ragazzi che escono da queste scuole si fanno onore quanto e più dei loro coetanei. La letteratura scientifica, al netto di ogni pregiudizio a favore o contro la scuola non statale, fornisce almeno tre spiegazioni per questo fenomeno.
1) Per la riuscita dei ragazzi è fondamentale l’esistenza di un progetto educativo coerente, condiviso dagli insegnanti e dalle famiglie, che agisce anche sulla motivazione ad apprendere: in questo senso, le scuole paritarie non hanno l’esclusiva dei progetti coerenti, ma poiché questo rappresenta uno dei loro punti di forza, e spesso anche la ragione della loro esistenza, la mission della scuola viene formulata più chiaramente e seguita in modo vincolante. Se la scuola è legata (come spesso accade) all’esistenza di una comunità funzionale, sia essa territoriale, di appartenenza etnica o religiosa, di idea politica, si parla di un vero e proprio capitale sociale, derivante dalla condivisione dell’approccio all’educazione, che portò negli anni Ottanta Anthony Brik e il gruppo di ricercatori che lavoravano con lui a parlare di effetto scuola cattolica, che agisce su tutti gli studenti, anzi è particolarmente forte per i ragazzi afroamericani di modesta condizione, per lo più non cattolici.
2) Le scuole paritarie sono scuole di scelta, a cui le famiglie decidono di mandare i propri figli anche sostenendo dei costi aggiuntivi, in Italia quasi la totalità, e questo fa crescere la partecipazione. In realtà, ciascun cittadino maggiorenne finanzia la spesa per la scuola con circa 3mila euro l’anno delle proprie tasse (dato rozzamente stimato, ma non lontano dal vero), ma questo non viene percepito come una spesa diretta, e quindi non è controllato, mentre le famiglie che pagano una retta si aspettano che la scuola, scelta in base alla sua proposta educativa, mantenga il “patto” che ha stipulato con loro al momento dell’iscrizione, e si danno da fare non solo per controllare la qualità dell’educazione, ma anche per migliorarla in modo diretto. Dal punto di vista dei gestori della scuola, se il parere delle famiglie non viene ascoltato, nulla impedisce che vadano altrove, e questo li rende attenti a cogliere i bisogni dei propri utenti.
3) A parte il fondamentale aspetto della libertà nella scelta dei docenti (coartata dal fatto che lo Stato se li prende sistematicamente, ormai formati, e senza consentire il completamento del ciclo o quantomeno dell’anno in corso, come invece ha fatto per gli insegnanti “deportati” dal Sud al Nord), in Italia dal 2000 scuole statali e non statali dispongono della medesima autonomia didattica e organizzativa, ma proprio per far fronte in modo più stringente ai bisogni diversificati dell’utenza le scuole paritarie tendono a farne un uso maggiore, potenziando alcuni aspetti e assumendosi qualche margine di rischio in più.
Un’ultima considerazione. Nel presentare il liceo classico al primo posto per Milano (l’Alexis Carrel) la giornalista del Corriere della Sera evidenzia in prima pagina la retta, 4.900 euro l’anno; il dirigente del Parini, che pur lodevolmente conduce la sua nave in un mare tempestoso, butta là che si può far bene anche senza il pagamento di una retta, e cito solo due esempi.
Ora, per correttezza, si potrebbe aggiungere che nella scuola “gratuita” uno studente statale costava nel 2015 (dati Ocse 2018) 8.969 dollari, equivalenti, al cambio odierno, a 7.838,81 euro, cioè circa il 60% in più dello studente della Carrel. Questo significa che si può far bene spendendo di meno; forse non sono pochi i soldi, ma è il modello organizzativo che non funziona. E questo non lo dico solo io, da una trentina d’anni, ma lo confermano tutte le ricerche più recenti in un elevato numero di Paesi.
Dato che chi manda i figli alla scuola paritaria finanzia con le sue tasse anche i ben più costosi studenti statali, facciamola finita con questa fake news (più fake che news, a dire la verità) che basta pagare per avere una buona scuola, e cominciamo magari a chiedere conto di come vengono spesi nella scuola statale i molti soldi usciti dalle tasche dei cittadini.