Il primo lockdown proclamato per fermare l’espansione del Covid-19 a marzo e aprile 2020 ha avuto effetti molto pesanti per le imprese italiane costruttrici di macchine utensili. Non solo si è fermata l’attività produttiva, ma il blocco delle attività di consegna, collaudo e accettazione dei macchinari già terminate ha significato l’impossibilità di ricevere dai clienti quanto dovuto, a fronte di spese già sostenute, con problemi di liquidità per imprese industriali di dimensione media e piccola, quindi tendenzialmente “fragili” sotto questo aspetto.



Inoltre, tutta l’attività commerciale e di raccolta ordini è diventata quasi impossibile, sia in Italia sia all’estero, prosciugando i portafogli ordini. A questo si è aggiunta l’impossibilità di effettuare interventi di manutenzione e assistenza presso i clienti, altra attività di primaria importanza sia come fatturato sia come fidelizzazione del cliente.



I danni economici hanno colpito tutta la catena del valore: da un lato i fornitori, molto spesso piccole e piccolissime imprese con altissima specializzazione ma poco dotate di capitali finanziari; dall’altra i clienti hanno bloccato, ridotto, rimandato, a volte annullato, i piani di investimento in nuovi mezzi di produzione, stante l’incertezza sulla possibilità di produrre e sulla domanda futura.

Un singolo indicatore è sufficiente per mostrare l’entità del danno subìto: nel secondo trimestre del 2020 l’indice degli ordini è crollato del 39,1% rispetto allo stesso trimestre del 2019. Si tratta del dato peggiore degli ultimi 10 anni e in parte il calo è mascherato dal fatto che il primo trimestre 2019 non fu molto brillante. Questo crollo coinvolse sia il mercato interno (-44,7%), sia gli ordini dall’estero (-37,8%).



Adesso, dopo un terzo trimestre negativo ma non in modo così grave (-11%), le imprese iniziano a respirare un po’ meglio, il livello degli ordini è ancora basso, ma le aspettative sono positive, in Italia e sui mercati internazionali. Non per nulla si tiene in questi giorni a Fiera Milano Rho la 32.BI-MU, la fiera delle macchine utensili e dei sistemi di produzione, un fortissimo segnale della volontà di ripartire.

Non va sottovalutato l’aspetto psicologico di come è stato vissuto il lockdown, dalle aziende così come dalle singole persone. Nel corso di quei due mesi, pur con la dovuta preoccupazione, lo stato d’animo era quello che si stesse affrontando un passaggio obbligato che avrebbe portato all’uscita da una situazione imponderabile e negativa che si era abbattuta sul mondo.

La chiusura appariva come un pegno da pagare per poi tornare rapidamente alla normalità. Il periodo stesso aiutava, perché si andava verso la primavera, con la speranza che, come in altre occasioni, il virus avrebbe perso forza e il numero dei colpiti si sarebbe ridotto, tendendo ad azzerarsi.

Lasciando perdere quanto avveniva sui balconi, con canti e cartelli che prospettavano che tutto sarebbe andato bene, anche nelle aziende c’era una spinta alla riapertura, vista, quasi, come la panacea di tutti i mali. La voglia di riprendere a lavorare aveva in parte oscurato la consapevolezza dei problemi, e spingeva a ritenere che si sarebbe riusciti a superarli.

Ora che le aziende stanno lottando per riuscire effettivamente a tornare all’attività normale, una nuova chiusura avrebbe effetti devastanti sia sull’operatività delle aziende, sia sulla voglia di fare impresa. Le nostre Pmi che, con grande impegno e spesso con molte difficoltà hanno dovuto intraprendere la strada della globalizzazione, si troverebbero di nuovo bloccate in un mondo che porterebbe a una situazione di chiusura anche mentale, incapace di intravedere con ottimismo il futuro. Sarebbe un colpo di negatività decisivo, praticamente impossibile da assorbire per molte Pmi che, oltretutto, sono spesso parte integrante e insostituibile di filiere essenziali per la vita quotidiana delle persone.

Un nuovo lockdown può essere, per le Pmi, non solo il ripetersi di un grave danno economico, ma anche la proposizione di una catastrofe inevitabile: ribaltando “andrà tutto bene” nel suo opposto, sarebbe l’annullamento di ogni speranza.