Adriano Urso era un pianista jazz straordinario. Rimasto senza lavoro a causa del Covid è morto d’infarto mentre spingeva l’auto rimasta in panne: lavorava come rider e doveva consegnare la cena a un cliente.

Adattatosi a trovare quello che c’era, era stato costretto a trovare impiego per la piattaforma danese di consegne a domicilio Just Eat, una delle più famose al mondo.



Il 10 gennaio, alle 21 circa, Urso stava portando la cena a un cliente quando la sua Fiat 750 d’epoca è rimasta in panne. Pur aiutato da due passanti, all’improvviso il jazzista è morto a causa di un infarto. Aveva 41 anni e pare non avesse patologie pregresse o nascoste. Più probabile che il cuore non abbia retto al dolore della situazione, all’assenza di prospettive. Il Covid non sta uccidendo solo con la polmonite interstiziale, sta minando gli interstizi della società nei suoi spazi più importanti, quelli della cura dell’anima, non solo quelli del corpo. Questa morte mi colpisce profondamente. Mi sembra una metafora di ciò che potrebbe capitare a molti di noi quando la pandemia sarà passata e dovremo riprendere la vita normale. Riuscirà la “nostra macchina” a ripartire? E intendo con questa espressione non solo la macchina biologica del nostro corpo ma la macchina della nostra vita, delle nostre relazioni.



Come quella di molti sacerdoti, la mia vita è semipubblica e quindi, non avendo mai un autentico ed esclusivo privato, trascorro praticamente l’intera giornata con la mascherina addosso. Per questo mi chiedo spesso, come sarà tornare a guardarci tra di noi con l’intero viso scoperto? Cosa accadrà quando lo smartworking verrà ridotto? Come reggeranno i nostri rapporti quando torneremo in ufficio, riprenderemo a viaggiare, ad abbracciarci, a prendere un caffè?

Emanuele, il fratello di Adriano, ha raccontato in un’intervista che il fratello era diventato pessimista, sosteneva che la musica era stata uccisa, che non aveva più futuro e che non avrebbe mai più lavorato come musicista. Forse, mi viene da pensare, la Fiat 750 di Adriano era andata in panne perché qualcosa d’importante s’era già rotto dentro il suo padrone. Solo una cosa è sicura: che scopriremo i reali effetti di questa pandemia solo quando sarà passata. Allora avverrà come quando camminiamo tra le rovine di un territorio devastato dal terremoto, come vediamo dall’alto di un elicottero l’aerea squassata dallo tsunami: solo in quel momento potremo controllare quello che davvero è rimasto in piedi.



Quando avviene il terremoto la casa che cade, i morti sotto le macerie sono immediatamente percepibili, ciò che lo sconquasso ha distrutto lo vediamo già ora, ma rimane da individuare tutto ciò che è stato incrinato. Tutto ciò che si romperà quando cercheremo a provare di viverlo di nuovo.

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