Tra un paio di trimestri con ogni probabilità ci toccherà leggere articoli sull’inspiegabile e forse “criminoso” rialzo dei prezzi dei beni di prima necessità: carne, verdura, frutta e poi di altri che comunque sono “normali” nella spesa di milioni di italiani. Oggi invece registriamo l’effetto opposto con moltissimi generi alimentari svenduti. Questo cambiamento che oggi si intravede è già dentro quello che stiamo vivendo adesso.



La dinamica è semplice anche se finora è rimasta al margine della discussione. I ristoranti e gli alberghi chiusi, il lockdown che ci “obbliga” a stare a casa ha provocato e sta provocando un crollo dei consumi. Questa estate la mancanza di turisti, per esempio, ha determinato un crollo del consumo di carne. Non sono però solo i turisti. Nel nuovo clima in cui dobbiamo “limitarci all’essenziale” e rinunciare a quel superfluo con cui moltissime persone mettono in tavola la pasta tutti i giorni, si consuma di meno, a volte molto di meno. Il lockdown e lo stile di vita nuovo creano una marea di disoccupazione e schiacciano i consumi; anche quelli alimentari, anche quelli dei beni più essenziali e “poveri”.



Oggi i prezzi della carne e di moltissimi altri beni, per esempio in questa fase i panettoni artigianali, crollano perché l’offerta, mesi fa, è stata pensata per consumi molto più alti. Nei prossimi mesi i produttori aggiusteranno la produzione per i “nuovi” consumi e per non incorrere di nuovo nelle perdite di questi mesi. Questo ha una sola possibile conclusione e cioè un rialzo generalizzato dei prezzi anche di primissima necessità, anche solo per un banalissimo fenomeno di “effetto leva”. I costi fissi sono gli stessi e verranno spalmati su un numero inferiore di prodotti; inoltre, molte parti della catena in questi mesi sono fallite determinando sia una minore competizione, sia un’oggettiva scarsità di alcuni servizi essenziali per mettere in tavola o sugli scaffali i prodotti.

In questi mesi si stanno ponendo le premesse per un’inflazione cattiva che non farà distinzione tra superfluo ed essenziale e che pioverà su tutti, poveri e ricchi, indipendentemente dall’andamento del mercato del lavoro. Tutti noi non solo mangeremo meno panettoni e berremo meno vino, ma anche meno carne, meno frutta e meno verdure perché i prezzi inevitabilmente saliranno. Tra qualche mese, si moltiplicheranno gli articoli di giornale contro i piccoli produttori speculatori, contro i “padroncini” che rialzano i prezzi per speculare sulla crisi. Oggi lasciati sostanzialmente senza rete, domani accusati di speculare.

Gli incentivi a intraprendere già ridotti al lumicino, in un mondo in cui solo una categoria è rimasta immune a qualsiasi crisi, potranno solo peggiorare e speriamo con tutto il cuore che a nessuno venga in mente di “statalizzare”, in forme più o meno soft, per impedire la speculazione. Queste “soluzioni” dalle collettivizzazioni forzate del 1932 in Ucraina in poi portano solo a una conclusione: la fame.

Lo stile di vita più “austero” che dovremmo abbracciare per salvare la terra dai “cambiamenti climatici” imposto in questo modo e in queste forme darà un ulteriore esempio al concetto di eterogenesi dei fini: i poveri, ex camerieri o impiegati di qualche società di lavaggio industriale di tovaglie e tovaglioli, saranno più poveri. Speriamo solo che a nessuno venga in mente di risolvere il problema replicando ricette passate, imposte dall’alto per cambiare l’uomo e renderlo migliore, volente o nolente, con lo Stato e la sua forza. C’è un nome per tutto questo: comunismo. In questo modo si inizia per dare da mangiare ai poveri e si finisce in fila per un pezzo di pane nero con la scheda delle razioni in mano.