Distratti dalle tremende notizie relative all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e dalle sue conseguenze immediate e future sulla nostra vita, le notizie relative alla pandemia sono passate in secondo piano e sembrano ormai aver perso di interesse presso la pubblica opinione. I giornali, la radio e la televisione dedicano ormai pochi istanti all’argomento, riportando, quasi meccanicamente, solamente i dati di base relativi alla diffusione del Covid-19, privi di alcun commento, tra una notizia relativa al conflitto in atto e l’altra.



Del resto, gli annunci relativi dell’uscita dallo stato di emergenza previsto per il 31 marzo, insieme all’abolizione dell’obbligo del super green pass dal 1° aprile e dell’uso di mascherine al chiuso dal 1° maggio, ci stanno dando la sensazione che le preoccupazioni relative alla pandemia siano ormai alle nostre spalle e che ci si debba concentrare solo sulle notizie relative al conflitto in Ucraina.



Tuttavia, se letti con attenzione, i dati epidemici attuali non inducono a un facile ottimismo e suggeriscono che si debba ancora tenere alta l’attenzione se non vogliamo rischiare di dover vivere a breve insieme le due tremende emergenze di questo periodo, legate alle due parole a lungo dimenticate dal nostro vocabolario: guerra e pandemia.

Ormai dal 2 marzo, infatti, il tasso di positività ha ricominciato a salire costantemente in Italia, passando dal minimo del 9,1% al 15,5% (in media settimanale, l’unica che ha senso guardare, vedi Figura 1).

Questa non è mai una buona notizia. Abbiamo, infatti, imparato come al tasso di positività seguano, di norma con un ritardo di alcune settimane, tutti gli altri indicatori: i ricoveri in primis, poi gli ingressi in terapia intensiva, infine i decessi.



In effetti, guardando la Figura 1, notiamo come già altre volte in passato il tasso di positività abbia avuto dei rimbalzi durante la sua caduta. Ciò è accaduto, ad esempio, nel febbraio del 2021 quando, a una sua temporanea inversione di tendenza prima di riprendere un sentiero di decrescita durato fino all’estate, non abbia fatto poi seguito una ripresa degli altri parametri e, in particolare, della mortalità. La speranza è che accada lo stesso anche in questa circostanza.

In effetti, il numero di positivi ha ormai ripreso a crescere, raddoppiando quasi negli ultimi 15 giorni, passando da 37.108 a 68.191. Sappiamo però che questo dato è poco indicativo, in quanto influenzato dal numero di tamponi effettuato.

Del resto, i ricoverati con sintomi, che erano in decrescita ininterrotta da ormai 50 giorni (passando da 19.830 il 29 gennaio a 8.387 il 19 marzo) nella giornata di domenica 20 marzo registrano per la prima volta un arresto di tale diminuzione, risalendo a 8.414 (sempre in media settimanale). Il numero di ricoverati in terapia intensiva prosegue, invece, da circa due mesi un calo ininterrotto, passando da circa 1.700 al 24 gennaio al dato odierno di 483: un calo peraltro avvalorato dalla riduzione del numero di ingressi giornalieri in terapia intensiva, il quale è passato da 150 il 13 gennaio agli odierni 42.

Infine, il numero di decessi giornaliero, l’ultimo dei parametri ad adeguarsi ai cambiamenti di tendenza, ha iniziato la sua discesa sei settimane fa, passando da 375 il 4 febbraio a 130 il 19 marzo, registrando solo un modesto incremento (in media settimanale) nella giornata del 20 marzo.

La speranza è che il virus (nella sua attuale variante Omicron, ormai prevalente nel 99% dei casi) abbia oggi perso molto della sua gravità rispetto alle ondate precedenti e che, ad una innegabile ripresa della sua diffusione, non debba fare poi seguito la crescita degli altri parametri che maggiormente ci preoccupano.

Guardandoci intorno in Europa e nel mondo, i dati sembrano andare in tal senso. In Germania, dove pure il virus ha ripreso a viaggiare nell’ultimo mese, il numero di decessi è rimasto sostanzialmente stabile intorno ai 200 giornalieri. Nel Regno Unito, dove il numero di nuovi casi è triplicato in un solo mese, i decessi sono pure rimasti fermi ad un livello di 120 morti giornalieri. In Francia, dove la crescita è ripartita già da un paio di settimane, i decessi proseguono lungo il loro tragitto di decrescita, e sono oggi a circa 100 al giorno. Negli Stati Uniti, casi e decessi sono in calo costante da metà gennaio. In Svizzera, dove pure i casi si sono triplicati in un mese, i decessi nello stesso periodo sono fermi intorno a una decina di unità al giorno.

Saranno i prossimi giorni a dirci se quella che stiamo vivendo è il principio di una nuova ondata (magari di una gravità più ridotta rispetto alle precedenti), oppure solamente il colpo di coda dell’ondata precedente. Nell’attesa sarà utile continuare con comportamenti il più possibile prudenti.

Inoltre, in attesa dell’inevitabile ripresa stagionale del virus nel prossimo autunno (che già si prevede sarà sostenuta da un richiamo del vaccino), occorrerebbe, in questa fase di relativa tranquillità, mettere finalmente in campo serie e sistematiche indagini statistiche, le quali ci consentirebbero di affrontare in maniera adeguata future minacce di questa natura.

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