Mentre in Italia si discuteva delle conseguenze di una fiducia risicata ottenuta dal Premier Conte al Senato, a Francoforte accadeva qualcosa di importante di cui la stampa italiana non sembra aver dato conto, come ci spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale. Sono state infatti riportate le parole di Christine Lagarde sulla necessità che non vi siano ritardi nell’operatività del Next Generation Eu, ma non un passaggio importante del comunicato stampa che è stato diffuso giovedì scorso dopo la riunione del board della Bce. «Nel testo si dice infatti che la stance, cioè la posizione più o meno accomodante, della Banca centrale, verrà in futuro stabilita sulla base di valutazioni relative alle financing conditions dell’economia dell’Eurozona. E mi sembra importante rilevare due aspetti in proposito», dice Lombardi.
Quali?
Il primo è che la decisione di ricalibrare il Pepp, il programma di acquisto di titoli di stato varato quando il Covid ha colpito anche l’Europa, sulla base delle financing conditions era stata citata già nello statement della Presidente Lagarde a seguito della precedente riunione del board a dicembre. Il fatto che venga ora inserito nel comunicato stampa ufficiale a seguito delle consueta riunione del Governing Council conferma un’escalation nella gerarchia delle fonti segnaletiche.
Questo cosa significa?
Che la Bce, ed è questo il secondo aspetto importante che rilevo, sta comunicando in modo sempre più netto che intende in futuro basare maggiormente i suoi interventi non convenzionali sulle financing conditions, mentre nei precedenti comunicati stampa si parlava di politica monetaria non convenzionale giustificata da considerazioni di bassa inflazione o addirittura di disinflazione e da problemi nella trasmissione degli impulsi di politica monetaria. In questa nuova cornice intellettuale ancorata alle financing conditions verrà quindi posta meno enfasi sullo spread tra i titoli di stato di un Paese verso il Bund tedesco che, in parte, la Bce aveva assunto come variabile segnaletica: da quando è scoppiata la pandemia, l’Eurotower ha agito, di fatto, calmierando lo spread e di questo l’Italia ha beneficiato in modo significativo, tanto è vero che ancora oggi riesce a emettere titoli di stato a tassi che non sono storicamente comparabili.
Cosa sono le financing conditions dell’economia che diventeranno sempre più importanti per la Bce?
Mentre finora era centrato soprattutto, ma non esclusivamente, sui tassi di interesse dei mercati obbligazionari, e segnatamente dei titoli di stato, il perimetro operativo della Bce, tramite le financing conditions, viene allargato a parametri più connessi con l’economia reale, come per esempio i tassi di interesse e le attività di prestito delle banche in favore delle imprese. Se, quindi, ci sarà una prospettiva di domanda in ripresa, le imprese torneranno a investire e a richiedere prestiti e questo impatterà (favorevolmente) sulle financing conditions di una data economia, giustificando, pertanto, una postura meno interventista dell’autorità monetaria.
Concretamente se la Bce baserà le sue decisioni sul Pepp sulle financing conditions cosa accadrà?
Collegando le decisioni a dinamiche e variabili più strettamente correlate con l’economia reale, di fatto si creano le premesse per una ricalibrazione della politica monetaria della Bce nel caso nei prossimi trimestri una fetta consistente dell’economia dell’Eurozona dovesse segnalare effetti di una ripresa economica. Si è creata una struttura intellettuale per giustificare un’eventuale rimodulazione del Pepp per attenuare la stance iper-espansiva, sulla base di un possibile dualismo che si manifesterà nell’Eurozona tra Paesi che cominceranno a riprendersi meglio e prima di altri dalla situazione di recessione creata dalla pandemia. Questo, lo ripeto, togliendo enfasi alla variabile spread.
Potrebbe essere stata questa comunicazione della Bce a determinare il rialzo dello spread italiano alla fine di settimana scorsa?
Sicuramente una reazione del genere risulta coerente perché sta a segnalare che in prospettiva, non certo nel brevissimo termine tuttavia, la Bce sta preparando una ricalibrazione del Pepp, attenuandone la portata.
A cosa è dovuto questo cambiamento che per l’Italia è sicuramente importante?
Credo che semplicemente la Bce stia preparando il terreno a una rimodulazione del Pepp come finora l’abbiamo conosciuto. La crisi, come abbiamo evidenziato anche in altre occasioni, ha avuto un effetto simmetrico, quindi la Banca centrale è intervenuta, di fatto, illimitatamente, nell’ambito sempre del suo mandato anti-inflazionistico, per contrastare le conseguenze negative della pandemia. Ora, dato che è stato avviato il piano vaccinale in tutta Europa, la prospettiva dell’uscita dalla crisi si avvicina in modo tangibile. E quelle economie che hanno dei fondamentali più forti, ancorché fiaccate dall’effetto della pandemia, saranno in grado di riprendersi più efficacemente e velocemente di altre. La Bce ne dovrà trarre le conseguenze del caso perché è chiamata a guardare al complesso delle condizioni dell’Eurozona e non a quella dei singoli Paesi. Per questo sta cominciando a crearsi una “via d’uscita”, segnalandolo opportunamente ai mercati.
Di questo in Italia non si è in effettivamente parlato. È stata data più enfasi alle parole di Lagarde sul Recovery fund che si sono aggiunte a quelle degli esponenti della Commissione europea sulla necessità che il nostro Paese, che pure attraversa un momento politico difficile, non ritardi la presentazione del Pnrr e ne implementi la parte relativa alle riforme. Come mai, secondo lei, questa insistenza da parte delle istituzioni Ue?
Naturalmente l’incertezza politica che stiamo attraversando generato non poche preoccupazioni a Bruxelles, che aveva creato un pacchetto con cui pensava di vincolare questo Governo, e tramite di esso l’Italia, in un modo che sembrava abbastanza scontato. Credo che la debolezza di questo esecutivo e il rischio di dimissioni del Premier in qualche modo pongano un elemento di incertezza forse inatteso, anche perché il Governo attuale è un interlocutore privilegiato dato che, come abbiamo visto, non ha mai esercitato un ruolo dialettico nei confronti delle autorità europee a favore dell’interesse italiane.
Se lo avesse esercitato non sarebbe stato tacciato di “euroscetticismo”?
Esercitare un ruolo dialettico non significa essere avversi all’Europa, tutt’altro, ma semplicemente affermare legittimamente il ruolo e gli interessi dell’Italia in un contesto regionale variegato, denso di interessi sovrani sovrapposti e contrapposti. In questo contesto, sicuramente sfidante dal punto di vista negoziale, questo esecutivo non ha articolato con efficacia gli interessi nazionali rispetto al pacchetto di misure messo in campo dall’Ue, a sua volta debitamente influenzate dal solito gruppo di testa.
Dunque ora Bruxelles cerca di mettere le mani avanti rispetto a chi verrà eventualmente dopo Conte ricordando gli impegni presi?
Sicuramente, tanto è vero che tutta la sovrastruttura legata al Recovery fund tende in qualche modo a imbrigliare l’Italia per i prossimi decenni in una serie di vincoli che non credo siano stati adeguatamente sviscerati all’opinione pubblica con la dovuta trasparenza e di cui forse ci si accorgerà a fatto compiuto. Per esempio, subordinare la possibilità di beneficiare di fondi che nella loro dimensione sono importanti per l’Italia a una condizionalità rigorosa come quella del Patto di stabilità, che è stato concepito negli anni Novanta: il nostro Paese faceva già fatica prima della pandemia, figuriamoci il prossimo anno quando sembra che il Patto di stabilità verrà reintrodotto. Credo che il Governo non abbia mai sciolto un dilemma fondamentale: come fa l’Italia a beneficiare di questi fondi sicuramente importanti se ci sono dei parametri che non le consentono di fruirne in maniera addizionale?
C’è una possibilità adesso per l’Italia per non essere “imbrigliata”?
Questa è una battaglia che il Governo avrebbe dovuto condurre nella fase di negoziazione del Recovery fund, a cui mi pare abbia rinunciato fin dal primo momento. Nella migliore delle ipotesi ci troveremo a dover gestire un’eredità di fondi che pongono una serie di vincoli, anche di natura macroeconomica, che l’Italia difficilmente riuscirà a soddisfare. Anno per anno dovremo cercare di negoziare una flessibilità che verrà auspicabilmente concessa da Bruxelles, sapendo già da ora che non saremo in grado di rispettare il Patto di stabilità, il Fiscal compact e allo stesso tempo fruire in modo efficace dei fondi messi a disposizione tramite il Next Generation Eu.
Con il rischio tra l’altro, come spiegava prima, di ritrovarsi senza il supporto della Bce…
Esattamente. Dalla scorsa settimana scorsa sono stati posti i paletti per quello che sarà un allentamento della posizione accomodante che finora ha sospinto in modo cruciale i collocamenti di titoli di stato italiani. Sorge a questo punto una domanda scomoda per l’attuale esecutivo.
Quale?
Fino a che punto ha approfittato del clima particolarmente favorevole sui mercati? Non sembra molto. Vorrei ricordare che durante tutto il corso del 2020, da quando si è manifestata la pandemia, il dibattito si è focalizzato sul Mes sanitario quando c’era una liquidità inutilizzata, congelata, su cui peraltro i contribuenti italiani pagano nell’immediato un onere, sistematicamente superiore ai livelli pre-Covid e che in alcuni mesi era un multiplo di due-tre volte quella storica. Da un lato, si è perso capitale politico prezioso e, dall’altro, credo che non si sia utilizzata in modo adeguato questa straordinaria finestra di opportunità che tuttora persiste. La liquidità presente sul conto di Tesoreria poteva essere usata per ristorare le imprese italiane in difficoltà in tempi rapidi, perché c’era un saldo elevato in modo anomalo e i ristori promessi non affluivano nelle tasche degli italiani. C’è stata anche questa discrasia che ha un peso importante sulle conseguenze economiche della pandemia. Credo che nei prossimi mesi, quando la stance più prudente della Bce verrà formalizzata in modo più incisivo, si aprirà un dibattito anche su questo in Italia.
A quanto ammonta ora il saldo di Tesoreria?
A dicembre era pari a circa 34 miliardi di euro, quando l’anno prima non arrivava a 11,5. Il mese prima ammontava a 51,7 miliardi contro i 24,7 di novembre 2019. Su questa anomalia non c’è mai stata una spiegazione, che non può essere certo quella della prudenza in un momento in cui si possono emettere titoli a tassi prossimi allo zero.
(Lorenzo Torrisi)