Ha buoni rapporti con gli Usa, ma anche con la Russia. E soprattutto con i Paesi del Golfo. L’Egitto, d’altra parte, è la nazione più popolosa del Medio Oriente, ed è un punto di riferimento irrinunciabile per gli equilibri dell’area, anche per la soluzione della questione palestinese, visto che, tra l’altro, ha un accordo di pace con Israele che dura da tempo. In questi giorni, in cui Il Cairo è impegnato a scongiurare la possibilità che i palestinesi, spinti fuori dalla Striscia di Gaza da combattimenti sempre più aspri, oltrepassino il confine, si stanno tenendo le elezioni che porteranno con tutta probabilità alla conferma dell’attuale presidente Al Sisi. Contro di lui Hazed Omar, del Partito popolare repubblicano; Farid Zahran, capo del Partito socialdemocratico egiziano di sinistra; Abdel-Sanad Yamama, del Wafd, partito laico e liberale.



Il Paese, alle prese come altri con una crisi economica dovuta agli effetti del Covid e della guerra in Ucraina, vorrebbe rilanciarsi puntando su turismo ed energia, settore nel quale ha contratti con l’Eni, ma deve fare i conti con l’ennesimo conflitto israelo-palestinese. In questo contesto, osserva Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di diplomazia culturale e geopolitica del Medio Oriente, potrebbe avere un ruolo, insieme ai Paesi del Golfo, nella gestione di Gaza dopo la guerra, anche se per ora la priorità è quella di non far arrivare gli sfollati palestinesi nel Sinai.



L’Egitto va al voto: Al Sisi sarà rieletto?

L’esito delle elezioni è abbastanza scontato anche per la congiuntura storica e politica che stiamo vivendo. Con quello che sta succedendo sui confini l’opinione pubblica vuole qualcuno che abbia l’appoggio dell’apparato militare.

Gli avversari di Al Sisi quanto contano? La Fratellanza Musulmana ha ancora un peso nel Paese, nonostante il fatto che non sia più un competitor politico?

Dal punto di vista della sicurezza la Fratellanza Musulmana non è più un problema: la stagione del terrorismo e degli attentati è sicuramente finita. Dal punto di vista ideologico e politico resta una minaccia, ma non tanto per la base che ha in Egitto, che ha risentito delle azioni del governo per requisirne i beni in modo da ridurre il suo potere e la sua influenza. Questo movimento ha una storia quasi centenaria, ha una ideologia difficile da sradicare. E soprattutto con il tempo è diventato internazionale, con basi e ramificazioni in Paesi del Medio Oriente, come Turchia e Qatar, ma anche in Europa. Smantellarlo non sarà facile né veloce, anche se l’estromissione dal potere nel 2014 è stata un colpo forte. Gli egiziani si ricordano cosa ha voluto dire un anno di governo della Fratellanza Musulmana, al momento una possibilità di ritorno per via democratica è assolutamente da escludere.



L’Egitto per tanti motivi ha un ruolo importante nell’area. Che alleanze ha sviluppato e quanto può essere decisiva la sua presenza per tentare di risolvere definitivamente la questione palestinese?

Fin dai tempi di Sadat e dell’entrata nella sfera di influenza statunitense, l’Egitto ha sempre avuto un atteggiamento attento a mantenere buoni rapporti con tutti. Li ha con gli Usa, con la Russia, ha rapporti forti, nonostante alti e bassi, con i Paesi del Golfo e soprattutto con Israele, consolidati da un accordo di pace che dura da quasi mezzo secolo e che si è rafforzato con l’estromissione dei Fratelli Musulmani e la lotta al terrorismo nel Sinai. È ovvio che il legame con Israele, in questo momento, deve affrontare una sfida importante: come fare in modo che le operazioni militari a Gaza non diventino uno strumento per spingere la popolazione palestinese verso il Sinai.

Come si sono attrezzati gli egiziani fino ad ora per scongiurare questa eventualità?

La posizione egiziana è molto chiara: qualsiasi tentativo di spingere i palestinesi verso il Sinai sarebbe una deportazione di massa in contrasto con il diritto internazionale; pertanto l’Egitto non si presterà ad essere complice in un’operazione del genere. I palestinesi stessi non vogliono lasciare Gaza, se lo facessero le possibilità di ritorno sarebbero infime, se non nulle.

Si è parlato, però, di aiuti finanziari all’Egitto per costruire insediamenti in cui ospitare i profughi di Gaza. Al Sisi non lo farà mai?

Sono anni che in realtà se ne parla, lo si è fatto anche quando i Fratelli Musulmani erano al potere, i think tank israeliani hanno sfornato il fior fiore di piani che vanno in quella direzione. Tutto è possibile, ma è evidente a tutti che il prezzo che l’Egitto pagherebbe accettando una soluzione del genere potrebbe essere molto pesante, anche per le generazioni future. Abbiamo visto cosa succede quando i palestinesi trasformano i Paesi in cui risiedono in basi per attaccare Israele. È stato così in Giordania e in Libano: non mi sembra il caso di proporre uno scenario del genere.

Il Paese sta vivendo una fase di forte crisi economica: a chi si può appoggiare per uscirne e quali sono i settori da cui potrebbe partire un rilancio?

L’Egitto sta vivendo una crisi economica, come anche i Paesi europei, per effetto della pandemia e della guerra in Ucraina. La sente un po’ di più perché per il grano dipende dall’Ucraina e dalla Russia e perché ha fatto investimenti miliardari per costruire la nuova capitale amministrativa, nuovi musei, per rinnovare le infrastrutture. Se l’economia non riprenderà nel breve periodo grazie anche al turismo, settore particolarmente colpito dalla instabilità geopolitica, o al canale di Suez, che ha subito la flessione del commercio globale, sono sicuro comunque che gli investimenti avranno un effetto sul lungo periodo: così sarà per progetti come il nuovo museo egizio, che dovrebbe essere inaugurato nel 2024. Il Paese dovrebbe puntare di più sugli investimenti esteri, sul turismo, sul business del gas grazie alla scoperta di grandi giacimenti nel Mediterraneo. Nel breve periodo dovrà cercare investimenti dei Paesi del Golfo, probabilmente privatizzando una parte della sua economia pubblica, dei progetti che attualmente vengono gestiti dalle forze armate.

Quali piani di sviluppo può avere l’economia egiziana nel settore dell’energia e quali rapporti intrattiene con l’Europa, con l’Italia in particolare?

L’Egitto ha un rapporto privilegiato con l’Eni: nello sviluppo di tutto il settore relativo al gas nel Mediterraneo anche recentemente ha confermato investimenti molto importanti. Quindi il legame con l’Italia è strategico e di primaria importanza. Con l’Europa ci sono dei rapporti anche nel settore degli armamenti, perché il Paese vuole diversificare le forniture per le strutture militari. Compra anche dalla Francia e dalla Germania. Anche il turismo è per gran parte europeo. Ci sono ampi margini di collaborazione: al monorail che porta alla capitale amministrativa sta lavorando la Siemens, che ha costruito anche importanti centrali elettriche. Con la Russia, invece, si sta costruendo una centrale nucleare, in vista della quale sono stati condotti i primi rilievi.

C’è qualche Paese con cui l’Egitto ha rapporti più stretti?

A livello di grandi potenze Usa ed Russia sono sullo stesso livello. I rapporti con i grandi Paesi dell’Europa sono equamente distribuiti, forse quello più solido è con i Paesi del Golfo: basta ricordare il sostegno che Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno dato all’Egitto nei momenti di grande difficoltà come dopo il 2014, con prestiti e concessioni importanti che hanno salvato l’economia egiziana.

C’è da aspettarsi che Egitto e Paesi del Golfo siano protagonisti anche nella soluzione della questione palestinese, contribuendo a definire il futuro di Gaza? Hanno un piano?

Israele vuole estromettere Hamas da Gaza. Ovviamente nessuno di questi Paesi si prenderà la responsabilità diretta di governare la Striscia, ma non è escluso un aiuto consistente all’Autorità nazionale palestinese o la creazione di una forza multiaraba che possa sostenere in un primo momento l’ANP. Sicuramente i fondi del Golfo avranno un ruolo molto importante nella ricostruzione, che necessiterà di cifre miliardarie. Senza questo sostegno Gaza è difficile che possa riprendersi. Sono i Paesi più vicini, quelli più interessati a ciò che succede nell’area, a poter risolvere la questione palestinese e ad aprire una nuova pagina con Israele: una cosa che hanno cominciato a fare di recente. Abbiamo visto quanto siano cordiali le relazioni degli Emirati Arabi Uniti con Israele e l’Arabia Saudita stessa aveva un dossier per normalizzare i rapporti di Israele con Riyad, aperto prima del 7 ottobre.

Per quanto riguarda i flussi dei migranti, invece, per che politica ha optato Al Sisi?

In un momento di crisi economica e inflazione la volontà di emigrare all’estero è comprensibile. L’Egitto ha sempre cercato (e c’è riuscito) di bloccare le partenze clandestine. La gran parte degli egiziani che arrivano in Italia, infatti, passano dalla Libia.

(Paolo Rossetti)

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