Quale sarà il destino del piccolo Eitan, il solo sopravvissuto alla strage del Mottarone? Questo fine settimana prenderà il via il processo-lampo caratterizzato da poche udienze per decidere in merito alle sorti del bambino. Per il momento il piccolo resta in Israele ed è tregua tra le due famiglie che si contendono l’affidamento. Domani 8 ottobre, il giudice di Tel Aviv riprenderà il processo per tre giorni consecutivi. A decidere, come rivela Lombardia Nera, sarà una donna arrivata nel 2017 al tribunale della famiglia di Tel Aviv. Secondo lo zio Eitan sarebbe stato sottoposto ad un “lavaggio del cervello tremendo. Il bambino non parla chiaro e ripete sempre le stesse cose”.



Prima del silenzio stampa occorso durante queste fasi processuali, il nonno di Eitan il quale sarebbe accusato di aver ‘rapito’ il nipote, disse “Eitan mi ringrazierà perché io l’ho salvato”. Anche la nonna avrebbe detto una cosa simile intervistata da Channel 13: “Eitan è felice, mangia, è così su di morale. Siamo tutti con lui, non ci sono parole per descrivere la sua gioia”. La nonna si è definita “una parte centrale della vita del bambino”.



Eitan, verso processo-lampo: nei prossimi giorni la decisione sul piccolo

Si avvicina sempre di più il processo lampo che in pochi giorni deciderà il da farsi sul caso del piccolo Eitan. Intervistato dalla televisione locale il nonno aveva raccontato come si era svolto il viaggio verso l’Israele e nega si sia trattato di un sequestro al punto da asserire: “Ho superato regolarmente il controllo passaporti. Il bene del bambino prevale sul mio interesse, ho deciso che lo stavo salvando riportandolo nel nostro Paese”.

Ma cosa potrebbe succedere durante le tre udienze del processo che prenderà il via domani, venerdì 8 ottobre? A commentare i possibili scenari è stato l’avvocato Alessandro Bernasconi, ospite di Lombardia Nera: “Le opzioni sono due, o il tribunale israeliano decide per il rimpatrio valutando se questo possa avere un effetto psicologico negativo sul minore – e più il minore sta in Israele più si rischia il cosiddetto fenomeno ‘radicamento’ – oppure decide che il rientro non si deve fare per il benessere psicologico del bambino che resterà in Israele”.