Ci siamo. Nelle prossime ore il Parlamento sarà chiamato a decidere la data delle elezioni comunali e regionali 2020 oltre all’eventuale loro accorpamento con il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari: il famigerato e contestatissimo “election day”.
Le posizioni in gioco sono chiare: da un lato c’è la maggioranza, propensa ad un allungamento dei tempi anche in considerazione delle raccomandazioni Covid-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, in ottemperanza al diritto costituzionale alla salute; d’altro l’opposizione ed alcuni presidenti delle sette Regioni chiamate al voto (ansiosi di passare all’incasso dopo una gestione “felice” dell’epidemia), che vedono come fumo negli occhi ogni ulteriore rinvio del voto: diritto parimenti sancito dalla Costituzione.
Infine c’è il fronte referendario – con le arcigne proteste dei sostenitori del “No” per l’attuale completa assenza di informazione, altro diritto costituzionale – che avversa strenuamente l’accorpamento del referendum alle elezioni amministrative rivendicando la necessità di uno specifico ed esclusivo confronto di merito (libero delle solite caciare elettoralistiche) per un voto che –con il taglio dei parlamentari – cambierà profondamente la Costituzione riducendo la rappresentatività e, con essa, il diritto costituzionale alla rappresentanza (infatti, aumentando considerevolmente il numero dei cittadini rappresentati da ogni singolo senatore o deputato, verrà meno quel rapporto diretto eletto-elettore evocato dalla Carta).
Quindi, mai come in questo momento, i tanti valori costituzionali in campo reclamano buon senso.
Certo, il voto è sacrosanto. Ma forse c’è qualcuno che, con un minimo di onestà intellettuale, può intravedere in un eccezionale, motivato rinvio (anche di un anno) delle elezioni un oltraggio alla democrazia o alla Costituzione? Forse c’è qualcuno che onestamente può negare la differenza sostanziale che intercorre tra il voto amministrativo ed una consultazione referendaria su di una modifica sostanziale e duratura alla Carta costituzionale? E forse c’è qualcuno, anche tra i Governatori più illuminati o presso la presidenza delle regioni, in grado di prendere sottogamba l’emergenza sanitaria e le conseguenze socio-economiche ad essa connesse?
Domande di buon senso che interpellano tutti dentro come fuori il Parlamento e suggeriscono un impegno diretto del Governo con un “piano” – ragionevole, puntualizzerebbe il Quirinale – “di voto” in grado di comporre tutte le istanze sul tavolo.
Del resto una consultazione referendaria ben preparata dal punto di vista logistico-sanitario, con un approfondito dibattito pubblico anche esclusivamente mediatico (quindi senza comizi e senza assembramenti), senza quorum (ovvero senza limite minimo di affluenza) come quella “confermativa” sul taglio dei parlamentari potrebbe – senza oltraggio ai diritti costituzionali – tenersi benissimo nel tardo autunno di quest’anno.
Mentre le elezioni amministrative e regionali che – a termini di legge – prevedono iniziative elettorali pubbliche (comizi) ed una campagna porta a porta per la conquista del voto di preferenza, potrebbero essere accorpate alla tornata elettorale amministrativa (sempre, comunali e regionali) in programma per la primavera 2021.
Una – ragionevole – determinazione in tal senso, oltre a non limitare la democrazia, darebbe modo di ottemperare alle precauzioni sanitarie; di risparmiare centinaia di milioni di euro e, sul piano squisitamente elettorale, di giungere, finalmente, ad una riunificazione di tutte le elezioni regionali e comunali oggi frammentate in una miriade di voti con costi esorbitanti.
Buon senso, appunto!