Mercoledì cadono i divieti di circolare tra le Regioni, sparisce l’autocertificazione e cominceranno ad arrivare gli stranieri, a metà mese si potrà pure andare al cinema e a teatro, Luca Zaia toglie le mascherine all’aperto e l’obbligo dei guanti. Una dopo l’altra le limitazioni imposte dalla pandemia stanno venendo meno. Una cosa rimane ancora tabù: votare. In primavera dovevano tenersi le elezioni in Regioni e Comuni oltre al referendum costituzionale sul numero dei parlamentari. Le Regioni sono gli organi sovrani in materia sanitaria ma il Governo ha deciso che le urne si apriranno a settembre. Contemporaneamente i suoi consulenti non perdono occasione per fare le cassandre: uno ripete che in autunno arriverà la seconda ondata, l’altro che è un azzardo riaprire tutto così presto, un terzo che gli spritz sono i migliori alleati del Covid, e via dicendo.
Sono martellate su un Paese che ha soltanto bisogno di fiducia e speranza per risollevarsi, ma fanno comodo al Governo. Alimentare lo stato di emergenza è la migliore garanzia per tirare avanti, viste le difficoltà a cementare la coesione interna. Finché lo spettro del coronavirus incombe sull’Italia, non possiamo permetterci ricambi istituzionali: è questa la linea politicamente correttissima ripetuta da settimane per puntellare un’alleanza sempre più debole. Con il malaugurato paradosso che, se a settembre dovesse davvero verificarsi la seconda ondata pandemica, i governatori dovrebbero gestire ricoveri, tamponi e tutto ciò che purtroppo abbiamo già visto senza essere legittimati. Senza contare il caos scolastico delle aule appena riaperte che dovrebbero richiudere per ospitare i seggi.
È un fronte bipartisan quello che preme per votare a luglio e presentarsi a settembre nella pienezza dei poteri: va da Zaia e Toti (centrodestra) a De Luca ed Emiliano (centrosinistra). I grillini sono contrari mentre i renziani non si fanno sentire: sono troppo occupati a lavorare silenziosamente per portare a casa un risultato che ritengono fondamentale. Italia viva non ha il radicamento territoriale per raccogliere le firme di presentazione delle liste, necessarie visto che nelle Regioni non ha gruppi autonomi. E Renzi non può permettersi di sottrarsi ancora una volta alla sfida elettorale. Così in Parlamento è in atto una manovra occulta a colpi di emendamenti al decreto legge 26 del 20 aprile (quello che fa slittare il voto a settembre) per fare in modo che Italia viva possa presentarsi senza queste firme.
Un emendamento presentato dai renziani Marco Di Maio e Davide Bendinelli prevede che siano “esonerati dalla presentazione delle sottoscrizioni i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare presso la Camera dei deputati ovvero il Senato della Repubblica”, oltre naturalmente a quelli già presenti nei consigli regionali, anche in deroga ai regolamenti elettorali delle singole Regioni. In altre parole, per candidarsi in Regione evitando di raccogliere firme come i partiti attualmente presenti nelle due Camere. Emendamenti analoghi sono stati presentati da parlamentari del gruppo misto vicini a Noi con l’Italia (Silli, Benigni, Gagliardi, Pedrazzini, Sorte) e dal radicale Riccardo Magi, il quale spiega che “l’eccezionalità della situazione determinata dall’emergenza sanitaria non rende praticabile, con le misure di distanziamento sociale, la raccolta di firme per la presentazione delle liste elettorali”. Con il beneplacito di Conte. E così, di deroga in deroga, ogni rinvio è buono per restare a galla.