Lo stato di crisi di Pixar è ormai conclamato, crisi creativa che aveva fatto intravvedere la sua natura da più di un lustro, ma soprattutto crisi comunicativa, di incapacità di trasmettere il proprio messaggio a quel pubblico che un tempo seguiva in massa l’avanguardia Disney. Elemental potrebbe essere un caso di studio di questa a partire dai disastrosi risultati al botteghino internazionale che lo stanno accompagnando e qui il post-pandemia ha poche responsabilità.
Il mondo in cui è ambientato il film diretto da Peter Sohn, già regista di un altro flop Pixar, Il mondo di Arlo (che però a chi scrive sembrava un film più riuscito), è Elemental City, una città in cui i quattro elementi – Fuoco, Aria, Terra e Acqua – vivono insieme, non sempre in armonia: per esempio, quando la ragazza di fuoco Ember, dal carattere focoso (pensa un po’), e il pacifico Wade si incontrano danno vita a una relazione complicata che potrebbe cambiare per sempre gli equilibri della città.
Assieme a John Hoberg, Kat Likkel e Brenda Hsueh, Sohn scrive una commedia sentimentale (una novità in casa Pixar e in genere nell’animazione mainstream pensata per un pubblico infantile) che diventa anche un’avventura sul filo della catastrofe, ovviamente, piena di tocchi “politici”, per esempio, l’immigrazione, il senso del lavoro e della famiglia dentro le minoranze, la dittatura della maggioranza anche detta populismo che cerca di creare emozione soprattutto con la tecnica cinematografica e l’animazione sopraffina, e questo è indubbiamente un grande pregio.
Ecco che però, fuori dai presupposti dell’operazione, addentrandosi un po’ di più nel merito del film, Elemental comincia a franare: il contesto pare pre-impostato e meccanico (l’ennesima fantasticheria con delle cose astratte che diventano vive, come prima i sentimenti, i mostri, i giocattoli, ecc.), la costruzione del mondo sostituisce le idee del racconto e le trovate comiche per bambini non riescono a essere un film in tutto e per tutto.
L’ingranaggio emotivo che porta i due personaggi a interagire nasce – come troppi altri film prima di questo – dal bisogno di emanciparsi di Ember da una famiglia oppressiva, soprattutto il padre, che non le dà fiducia: “Quando sarai pronta” è la sua risposta a ogni richiesta di indipendenza; ma alla stessa gag ripetuta quattro volte nei primi 20′ la pazienza dello spettatore rischia di cadere, soprattutto del pubblico di accompagnatori, che soffre per la mancanza di spessore dei personaggi e del discorso.
Elemental ha un bell’impianto impianto di fondo che non si compie mai del tutto per demerito della scrittura, del ritmo e della regia, cicca sul doppio fronte sentimento/avventura perché non sa amalgamarli e non riesce a scegliere da che parte stare. Ultima nota dedicata al doppiaggio, soprattutto quello di Wade: Stefano De Martino, come protagonista, non è all’altezza del compito richiesto.
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