A una settimana dal voto continua una campagna elettorale piatta, senza verve particolare e quasi rassegnata, vissuta – più che combattuta – in tv e sui social, ma senza sostanziali scontri o colpi di scena.
Un turno elettorale che d’altronde non scalda i cuori e non mobilita le piazze anche perché, presentate le liste, si sa già all’ingrosso chi entrerà nel nuovo (ridotto) parlamento e chi invece ne resterà fuori: con la libertà di scelta dell’elettore che si esaurisce su un simbolo di partito e su candidati imposti, da scegliere c’è poco e quindi manca qualsiasi campagna personale.
Tra gli esclusi, in tanti avranno maledetto il giorno in cui votarono la riduzione costituzionale degli eletti: allora tutto sembrava un appuntamento lontano, ma oggi per una buona fetta dei “grandi elettori” di allora il seggio è quasi perso, evaporato, per molti senza appello.
Gli attori sul palcoscenico intanto recitano, ma non mordono.
Giorgia Meloni – presunta vincitrice designata, ma in attesa di conferma – sa che deve prima di tutto evitare ad ogni costo le polemiche e il suo è quindi tutto un rassicurare, confermare e garantire stabilità dentro e fuori i confini del patrio suolo, in attesa che i giorni corrano il più veloce possibile, senza traumi e senza scosse.
Gli alleati masticano amaro: Salvini si è reso conto forse troppo tardi che stare al governo gli è costato molto in termini di consensi e visibilità e che al senso di responsabilità del dare una mano al Paese in un momento difficile non ha corrisposto un applauso della “base” e – teme – anche di molti tradizionali elettori leghisti. Per questo alza un po’ i toni, ma non troppo.
Forza Italia è ridotta ai minimi sindacali, le “pillole” di Berlusconi in tv sono la sua unica presenza elettorale, con nessuno del cerchio magico creato intorno a lui che abbia avuto il coraggio di spiegargli che il confine tra il ridicolo e il patetico è una linea sottile: gli anni corrono inesorabili per tutti, anche per l’inossidabile Cavaliere.
Sul fronte avverso, nel Pd si avverte aria di vigilia per una resa dei conti. Poche le nuove idee, anche perché si è governanti uscenti di lungo corso e così il messaggio elettorale si limita ad un costante “al lupo al lupo” nel confronti della destra e principale avversaria, ma – a cento anni dalla marcia su Roma – il rischio fascismo non è più un tema coinvolgente, anche perché molti italiani pensano che un po’ più di fermezza con Bruxelles non dovrebbe far male.
Il Pd intanto si è fermato, incagliato ed angosciato dopo lo strappo con Calenda, conscio che gli alleati che sono rimasti sono più ingombranti che utili. Forse, alla fine, Letta sarà pur il leader del primo partito, ma senza i numeri per governare la resa dei conti interni sembra comunque vicina.
C’è invece la novità del “terzo polo” con l’inedito connubio tra Renzi e Calenda. Una fusione a freddo tra ex nemici (o almeno concorrenti), improvvisa e senza slanci, utile per salvare entrambi i simboli al proporzionale ma con la sola, possibile ambizione di essere domani l’ago della bilancia in caso di liti tra vincitori. Il continuo richiamo a Draghi è scontato, ma anche ripetitivo e quasi obbligato.
Conte sta intanto tentando di ridar linfa a un M5s che era ridotto allo stremo con l’obiettivo di raccogliere il voto di protesta e dragare quelli dell’estrema sinistra difendendo i beneficiati dell’assegno di cittadinanza e cercando di recuperare qualcosa tra i delusi Pd. L’ex premier ha intanto sistemato i “fedelissimi” imbarcandoli con relativo salvagente sull’ultima scialuppa disponibile, alla faccia degli esiti delle “parlamentarie”, e a una buona parte della base questo non è proprio piaciuto.
La serie A finisce qui, poi ci sono tutti gli altri, i “piccoli” che puntano disperatamente a quel 3% che li terrebbe in vita, ma tremano di non raggiungerlo anche perché – senza adeguati innesti nei due blocchi maggiori in quota maggioritaria – arrivarci sarà dura, a volte impossibile.
Sono quindi i “piccoli” a rumoreggiare di più per farsi notare dagli elettori distratti, soprattutto quell’Italexit che vede il traguardo della soglia minima alla propria portata ed è quindi alla forsennata ricerca dell’opposizione ad ogni costo; per gli altri ci sono poche possibilità di rientrare nei giochi.
Sarà quindi per il clima ancora vacanziero in questa estate bollente, per i nuvoloni economici all’orizzonte e i freddi invernali in agguato, ma i cuori non si scaldano e tanti italiani, alla fine, forse decideranno di restare a casa all’insegna del “tanto non cambia mai nulla e sono tutti uguali”.
Forse non sarà vero, ma le differenze non sempre si colgono ad occhio nudo e soprattutto pochi o nessuno può – senza peccato – scagliare la prima pietra.
Auguri a tutti per domenica prossima.
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