Al di là delle analisi articolate, più o meno acute e sicuramente interessanti sulla situazione attuale, siamo spettatori obbligati dello scenario triste e sconfortante di una politica lontana dalla gente, litigiosa e incapace di guardare al bene comune anche in un momento così drammatico e delicato: una crisi energetica generata da una guerra che in un modo o nell’altro ci coinvolge tutti, allarmanti equilibrismi europei e d’oltre oceano per vincere l’inflazione galoppante, scongiurando una vera recessione, uno scomposto processo di deglobalizzazione pieno di insidie.
Se, di fronte ai problemi urgenti della società, si potevano avere lecite aspettative sulla capacità di reale costruzione da parte della politica, lo scempio di questi tempi sembra aver dissipato qualsiasi illusione.
Anche le speranze che spesso gli italiani hanno riposto nell’uomo forte e autorevole di turno o la fiducia nella garanzia dei poteri istituzionali sono svanite.
Ciò che rimane è una confusa e ingiustificata paura del ricorso alle urne, che rischia di far perdere il valore degli strumenti della democrazia.
In un momento in cui la politica è così distante dai veri problemi della gente e dai cambiamenti epocali e globali in cui siamo immersi, la società civile e i corpi intermedi sono ancor più chiamati in gioco, anche per la loro capacità di intercettare i bisogni del Paese e dovrebbero essere laboratorio propositivo e seme di nuove fioriture.
Tuttavia, in una democrazia rappresentativa parlamentare, la politica e quindi i partiti non sono esonerati dalla gestione della cosa pubblica e noi non possiamo chiamarci fuori pensando che nulla serve o farà qualcun altro. Non possiamo arrenderci al pur comprensibile disfattismo sfiduciato.
Ormai i programmi, sia dei partiti di vecchia data che di quelli nati ieri, sono poco caratterizzanti e soggetti ad un processo di omologazione allo scopo di non essere divisivi.
Questo non aiuta sicuramente una scelta e c’è da sperare che qualcuno faccia proposte chiare e organiche in cui ci si possa realmente riconoscere e a cui dare fiducia.
È urgente elaborare percorsi e proposte che siano capaci di guardare al futuro in uno scenario europeo e non solo. Il focalizzarsi su beghe locali o lotte per conquistare un collegio sicuro, significa delegare ad altri decisioni che poi subiremo noi e i nostri figli.
Credo che la decisione oggi, nella complessità generale e nella sostanziale scomparsa di idealità caratterizzanti uno a l’altro partito, debba andare oltre criteri che tradizionalmente ci hanno guidato. Troppo spesso si è tentato di arginare una deriva mondana e nichilista che investe la nostra società, ergendo a bandiera elettorale criteri etici o valori non negoziabili. Non credo sia questo il modo per difenderli.
La scelta oggi supera i nostri confini ed è molto più alta e sostanziale. È da guardare con stima chi salvaguardi e favorisca la libertà, affinché la diversità non si consumi in conflitto, ma diventi risorsa e terreno di costruzione. Oggi, per esempio, in gioco c’è la drammatica ma prossima scelta che, al di là di continue rassicurazioni opinabili, dovremo fare fra approvvigionamento energetico e libertà.
Credo inoltre che in una scelta elettorale si debba partire da una stima nei confronti di persone delle quali si apprezzi serietà, impegno e dedizione. In una politica che, come dice Papa Francesco “è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune”, essi sono chiamati a scelte coraggiose, senza cedere alle lusinghe di qualsiasi partito o coalizione che offra uno spazio. Anche i migliori propositi, fuori da un progetto condiviso, rimangono chimere e la possibilità di incidere e costruire sfuma.
Eccessivi compromessi impediscono di costruire ipotesi di lavoro cariche di idealità, aperte e lungimiranti, in cui emerga la tensione al bene comune e la passione per la libertà.
Solo una politica che difenda e promuova la libertà potrà permettere spazi di dialogo e costruzione.
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