Nell’ultima domenica di campagna elettorale è andata in scena la sfida delle piazze. I numeri dicono che la vittoria è andata a Matteo Salvini, il quale ha radunato il popolo leghista a Pontida mentre Enrico Letta ha dovuto accontentarsi di mezzo migliaio di sindaci Pd in piazza dell’Arengario a Monza. L’ultimo vero partito popolare ha rinnovato il suo rito sul “pratone” bergamasco, che Letta ha squalificato a “provincia dell’Ungheria” benché si trovi a una trentina di chilometri dal capoluogo brianzolo. Invece che sulle presenze, il segretario del Pd ha preferito insistere sui simbolismi: Monza, emblema del Nord che lavora, capitale del berlusconismo, roccaforte del centrodestra espugnata dalla sinistra in extremis alle ultime amministrative. “Tutto è ancora possibile”, osa sperare Letta nel momento in cui Salvini, davanti allo storico pratone stracolmo di militanti fa firmare a ministri e governatori del partito i sei punti ai quali la Lega vincolerà la propria presenza in un futuro governo.
Stop al caro bollette, riforma dell’autonomia, flat tax e pace fiscale, quota 41 per le pensioni, ripristino dei decreti sicurezza e, infine, una giustizia giusta: questa l’agenda di Salvini sottoscritta da tutto lo stato maggiore leghista. Che ha insistito sul tema del lavoro, in particolare per i giovani che non possono rimanere precari a vita. Dal protone di Pontida all’Arengario, la sfida di ieri è stata impegni concreti contro slogan.
L’obiettivo del centrosinistra italiano, dei Paesi che contano nell’Unione Europea e dei poteri forti d’Oltreoceano non è impedire la vittoria del centrodestra o ostacolare l’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi (anzi), ma azzoppare Salvini e la Lega; magari contando di spaccare il partito e recuperare la Lega dei governatori. Venerdì su Repubblica Stefano Folli l’ha scritto con chiarezza – così come il Sussidiario qualche giorno prima –: da Bruxelles a Washington, il filo rosso che unisce le diplomazie occidentali alla vigilia del voto in Italia è fare di tutto perché Salvini resti escluso dal prossimo governo. La campagna elettorale del centrosinistra che era iniziata con un’orgogliosa rivendicazione dei diritti – ius scholae, legge Zan, fine vita – ha subito una vera svolta. Letta, paradossalmente, non se la prende con la probabile vincitrice, con cui invece conversa amabilmente nel salotto del Corriere della Sera, ma con la Lega.
In questo modo, dal dibattito pubblico scivola in secondo piano la crisi economica ed energetica che ha già cominciato a toccare migliaia di famiglie e di imprese. Ai tagli delle forniture di gas russo ora si potrebbe aggiungere la riduzione dell’energia dalla Francia, orientata a tenere per sé la produzione nazionale delle centrali nucleari. L’austerity degli anni Settanta, che costrinse milioni di italiani a circolare a targhe alterne e a dormire al freddo, potrebbe essere un paradiso se le autorità dovessero contingentare l’utilizzo stesso della corrente elettrica in determinati orari.
Ma di queste cose non si vuol parlare: la campagna elettorale ora si fa sulla patente di atlantismo e sul soccorso rossonero che i centristi di Calenda e Renzi potrebbero portare a un eventuale governo Meloni senza Salvini. Con una sorta di “accordo” tacito tra Meloni e Letta pronto a ereditare il ruolo finora svolto dalla leader di Fratelli d’Italia: opposizione dura ma “responsabile” pronta a votare i provvedimenti che salvaguardino la fedeltà occidentale dell’Italia.
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