Anni fa un leader della sinistra sostenne che il partito di Bossi altro non era che una costola della sinistra. Erano gli albori del leghismo ed il tentativo era quello di inquadrare le truppe padane nell’ambito dei movimenti esterni ai partiti storici (quindi immaturi) e farne un proprio pezzo. Una tecnica da vecchio Pci, che ha sempre guardato con bonomia alle novità estemporanee per poi assorbirle e diluirle.



Un po’ come fece Bersani nel 2013 e come Letta oggi con i 5 Stelle. Specchiarsi nell’altro e richiamare alcune battaglie comuni, per poi appropriarsi del consenso indirettamente, è una strategia di lungo corso, per l’appunto, ma raramente ha funzionato nei tempi recenti. Anche stavolta il Pd rischia di aver dato per spacciato troppo in fretta il movimento di Grillo, accusato del Draghicidio e perciò, nella tesi dei dirigenti nazionali, destinato a pagarne il prezzo a tutto vantaggio del coerente Pd. Non è cosi, dicono i sondaggi.



La massa di elettori che hanno alimentato la falange grillina è costellata da un variegato mondo di non allineati e non garantiti, delusi dai decenni passati e fortemente motivati a far valere il loro punto di vista, che vede proprio nel Pd il fulcro del sistema di potere che avversano. Hanno ottenuto il reddito di cittadinanza e poco altro, ma la rabbia ed il disagio che portano sono ancora intatti. Seguono Grillo, e Conte solo in parte, come le formiche affamate attratte dalle briciole, poco interessandosi della sorte dei fuoriusciti Di Maio e Di Battista e più galvanizzati ad essere tra duri e puri. Un elettorato, per essere chiari, che al massimo si astiene ma di certo non porta voti al Pd o a Di Maio.



Anzi, la presenza di questa proposta elettorale un po’ furbesca li rende ancor più convinti del loro antagonismo elettorale e perciò i sondaggi li danno in tenuta se non in crescita. Perché allora il Pd ha scommesso sul loro crollo?

La risposta è che Letta, e ancor di più un pezzo del suo gruppo dirigente, credono davvero di poter rappresentare quei voti. Lo sperano e ci hanno sempre sperato per riconquistare l’anima popolare che manca nel maggior partito della sinistra da decenni. Ma il lessico del Pd è tutto orientato ai diritti civili, alla difesa del lavoro pubblico, alla tutela del ceto medio, alla stabilità del sistema, che cosi com’è (forse un po’ corretto) va bene.

L’elettorato grillino ha invece in sé il seme della rottura degli equilibri, dello sconquasso fintamente intelligente, non si sente costola dell’elettorato medio bensì suo avversario. E mai quegli elettori darebbero consensi al Partito di Bibbiano, al partito delle trivelle, al partito delle poltrone. Temi superati dalla storia, bufale consacrate, posizioni illogiche, ma che restano nel profondo di tanti di quegli elettori che nelle urne sfogheranno il loro disappunto attuale per le bollette alle stelle dando manforte ai neo-grillini. Sognano il gas regalato dalla Russia o la via della seta cinese pur di rompere un sistema in cui non si sentono più rappresentati.

Saranno molti meno del 2018 i voti a Grillo, ma i voti di Letta saranno pochi di più di quelli di Renzi alle politiche del 2018. Il travaso non riuscirà ed il Pd rimarrà a rappresentare un pezzo della società sempre uguale a se stesso. Importante, numeroso, non maggioritario. Risultato non da poco, si badi, ma che servirà a far capire bene quanto questi due mondi siano lontani. Il resto di quel 34% del 2018 dei 5 Stelle finirà tutto in astensione o nelle mani della Meloni. Nessuna costola si riunirà al corpo a cui si ritiene appartenga ed anzi, biblicamente, continuerà a vivere autonomamente ed indipendente senza farsi riassorbire. Così sembra, almeno per ora, sempre che il vento delle steppe non spazzi via gli amici di Vladimir regalando ad Enrico un colpo d’ali al fotofinish. Ma questi conti, quelli veri, si regolano ad urne chiuse. E per ora tutto resta sussurrato in attesa che il popolo voti.

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