Ma di scuola, i partiti capiscono qualcosa? Domanda più che lecita prima e ancor più dopo aver ascoltato sette leader delle formazioni politiche che martedì scorso sono saliti sul palco del Meeting per parlare, fra l’altro, proprio di scuola. Certo, concentrare ventuno interventi totali su tre grandi temi (sussidiarietà, educazione, lavoro) in circa due ore non consentiva di avere a disposizione il tempo sufficiente a sviluppare un discorso organico, tuttavia l’esperienza riminese ha confermato i timori della vigilia, per altro confermati dalla lettura dei programmi elettorali sul tema specifico, per altro sempre isolato nelle ultime righe.



Timori che si possono riassumere così: sostanziale ignoranza della materia ed elargizione di promesse difficili o addirittura impossibili da mantenere, quando non dannose. Andiamo in ordine sparso con qualche esempio significativo iniziando dai partiti che si limitano a poche righe di programma.

Noi con l’Italia parla di “detrazione di tutte le spese sostenute per l’istruzione dei figli fino al 18esimo anno di età”. Insieme per il futuro “pensa di portare l’obbligo scolastico da 16 a 18 anni e di estendere il tempo pieno a tutte le scuole primarie”. Il Movimento 5 Stelle punta su “più psicologi e pedagogisti per fornire un sostegno ai nostri ragazzi e a tutta la comunità scolastica”. Fratelli d’Italia indica come priorità “rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico”. Più articolati i programmi degli ultimi due partiti presi in considerazione. La Lega punta su “miglioramento e rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro e potenziamento degli insegnanti di sostegno”. Il Partito democratico giudica “essenziale promuovere un approccio critico al digitale nel ciclo dell’istruzione, a partire dall’educazione civica digitale fino alla digital literacy e all’educazione sull’uso del dato”.



Tutte proposte – cui si aggiunge il doppio fil rouge d’una maggiore valorizzazione delle scuole tecnico-professionali e post-diploma e di stipendi agli insegnanti che siano in linea con la media europea, da cui distano fra il 30 e il 50 per cento in meno, a seconda del partito che li propone – buttate là senza uno straccio di idea concreta su come recuperare la montagna di denaro che occorrerebbe per passare dalla teoria alla pratica.

Ma il peggio non sta qui. Nei programmi che abbiamo facilmente consultato on line e negli stessi interventi all’incontro riminese sopra citato non si punta mai al nocciolo del problema di una scuola che da più parti viene giudicata allo sfascio (statistiche alla mano, come abbiamo scritto qui di recente, più del 50 per cento di chi si presenta in prima media fatica a leggere e scrivere, mentre si esce dalla quinta superiore incapaci di organizzare un pensiero composto da più di una frase coordinata) e che se ancora non si è sfasciata del tutto si deve soltanto alla buona volontà degli insegnanti o almeno di una parte di essi. Perché aumentare gli stipendi è una tappa doverosa anche dal punto di vista della dignità del docente, da anni paurosamente ridotta ai minimi termini, ma non basta di sicuro a migliorare l’istruzione. La quale ha dimenticato che insegnare competenze invece che discipline, ridurre le ore di lezione ai laboratori invece che salvaguardare la teoria, promuovere a oltranza contraddicendo i suoi stessi principi di fondo, in una parola confondendo educazione con promozione significa far passare il messaggio che tutto è lecito, buono, plausibile, accettabile.



In altre parole: elezioni 2022 e scuola punto 0. Del resto, una scuola che vuol mandare tutti in classe fino a 18 anni significa scordare che una larga fetta di alunni non possiede le capacità e nemmeno gli interessi per andare molto oltre la terza media (ci aveva provato l’allora ministro Berlinguer, così che Itis e Ipsia divennero ricettacolo di ogni sorta di giovani) e che, perciò, meglio sarebbe smetterla con l’idea di “liceizzare la scuola”, come se iscrivere un figlio ad un corso professionale per falegnami (di cui, fra l’altro, pare ci sia gran bisogno nel mondo del lavoro) fosse meno dignitoso che fargli frequentare il Classico o lo Scientifico.

Non una parola abbiamo letto o ascoltato sul mare di burocrazia che soffoca il docente e lo riduce a comune impiegato, per non parlare della totale assurdità di anticipare l’obbligo scolastico all’infanzia (cioè a 3 anni!) partendo da un’idea di educazione sempre più sottratta alla famiglia.

In conclusione: i partiti – chi più chi meno, s’intende, perché qualche buona proposta non manca a partire da un’effettiva parità statale-paritaria – hanno un’idea di scuola del tutto teorica, lontana mille miglia dalla realtà, senza che nessun leader (a quanto ci risulta) abbia più il coraggio di dire che alla base di una sana educazione c’è la cultura, il sapere, magari anche un po’ di selezione e un pizzico di nozionismo che il Sessantotto ha buttato alle ortiche insieme a tanta acqua sporca.

Il giorno precedente all’incontro suddetto, nella stessa sede, don Claudio Burgio aveva parlato di “adulto autorevole sempre più raro” e di “mancanza di educazione” che confina il giovane nel pericolo dell’isolamento sociale e culturale. Il Meeting farebbe cosa saggia nel far avere ai sette leader politici (e non solo a loro) il video dell’incontro.

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