Quale compagnia per i compagni scompagnati? La domanda può sembrare irriverente e invece vuole solo fotografare il momento di estrema difficoltà del centro, della sinistra e del centro-sinistra (con o senza trattino) dopo l’incontro di mercoledì del centrodestra che in poche ore e senza indugi ha sciolto il nodo del potenziale premier e la divisione dei collegi tra le sue diverse componenti.
Non mancheranno a destra polemiche e tensioni, ma intanto la rotta è stata data, è sorprendentemente chiara e soprattutto l’elettorato ha subito capito di che cosa si tratta.
Il fronte opposto è invece nel caos, frantumato e spiazzato dall’imprevisto voto anticipato.
Il “tic-tac” delle scadenze elettorali corre velocissimo e chi non rientra nell’alleanza di centrodestra deve quindi decidere in pochi giorni con quali alleanze affrontare le candidature nei collegi uninominali, ricordandosi sempre che bisogna poi comunque raccogliere anche come minimo il 3% dei voti (il 10% se in coalizione) o i piccoli partiti non parteciperebbero al riparto nel “proporzionale”.
Urge quindi allearsi, ma tra chi e con chi? Solo un’alleanza fra tutti potrebbe infatti dare qualche margine di vittoria nei collegi, perché se si va sparpagliati la sconfitta è certa. In pochi giorni bisogna quindi trovare una formula di aggregazione che da una parte raccolga i voti, ma dall’altra non crei troppe fratture, ostilità e reciproci boicottaggi e sia legata da un programma comune.
Per questo si può proporre una semplice continuità con il governo Draghi, ma per il resto le difficoltà sono evidenti.
Il Pd è infatti la forza politica prevalente, ma confermando Conte la frattura con il M5s (che comunque può rappresentare una forza elettorale intorno al 10%) le possibilità di vittoria nei collegi si riducono al minimo e solo ipotizzando un’alleanza totale tra estrema sinistra, centristi e lo stesso Pd. I pochi collegi “buoni” andrebbero comunque divisi tra molti pretendenti a discapito della visibilità di ciascuno. Per questo gruppi come Azione e Italia viva in queste ore si stanno chiedendo se vale la pena rischiare di perdere una propria visibilità “di bandiera” con potenziali ricadute poi sul proporzionale dove il rischio di non raggiungere il 3% è reale. Coalizzandosi bisogna allora raggiungere il 10% per assicurarsi l’accesso al riparto, il che è in pratica garantito solo con un’alleanza insieme al Pd, quella che forse alla fine sarà la cosa più conveniente e probabile per tutti.
Più l’ipotetica alleanza si allarga, più crescono però le difficoltà non solo nella scelta dei candidati, ma perché è difficile pensare di mettere insieme l’elettorato di Articolo 1 con i supporter di Brunetta o della Gelmini che – indispettiti dall’inedito accordo – potrebbero scegliere i grillini sul lato sinistro o direttamente il centrodestra tra i moderati. Per questo la campagna elettorale sarà tutta tesa a denunciare l’“impresentabilità” di Salvini o della Meloni, vedi il caso Russia di questi giorni.
A sinistra vengono al pettine anche dissidi personali mai rimarginati – per esempio tra Letta e Renzi – che è difficile ricucire in poche ore, mentre è praticamente impossibile ricorrere anche ad un unico simbolo “civico” unitario, perché si dovrebbero comunque raccogliere le firme e i giorni per la raccolta – depositati i simboli – sono pochissimi.
Al Nazareno c’è un’altra ipotesi sul tavolo: “abbandonare” di fatto i collegi uninominali al proprio destino (e quindi di fatto “accettare” la sconfitta) per puntare tutto sulle future divisioni del centrodestra, sperando che una fetta di eletti prima o poi si dissoci dalla maggioranza.
Cinque anni sono lunghi da passare, le difficoltà economiche saranno gravissime, le polemiche sempre in agguato, il “momento d’oro” della Meloni passerà: logico che più che nella vittoria si speri sulle future divisioni altrui.
Il problema è che se Berlusconi, Salvini e la Meloni vincono in “troppi” collegi uninominali il numero dei potenziali futuri transfughi, necessari per creare un’alleanza alternativa, salirebbe alle stelle, rendendo sempre più improbabile un così ampio ribaltone.
“Tic-tac”: l’orologio elettorale corre e l’unica certezza è che l’improvvisa (ed imprevista) caduta di Draghi ha preso in contropiede lo schieramento di centrosinistra, che non ha fatto in tempo a proporre una riforma elettorale in senso più proporzionale. Un sistema che avrebbe sicuramente favorito un moltiplicarsi di liste e micro-partiti, ma utile “cemento” per un centro politico da sempre bacino di raccolta per Letta e il Pd con la concreta possibilità di costruire alleanze dopo (e non prima) il voto elettorale.
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