La campagna elettorale ha segnato un nuovo salto di qualità. “I russi all’uomo di Salvini: ritirate i ministri?” È La Stampa a ritirare fuori il tema dei rapporti tra Mosca e il leader della Lega, ma il sottosegretario ai servizi Gabrielli smentisce i “documenti di intelligence” citati dal quotidiano torinese: “notizie (…) prive di ogni fondamento come già riferito al Copasir”. La sera prima nel vertice di centrodestra (“La falange”, titolava ieri Repubblica) è stato raggiunto un accordo sulla designazione del premier e la ripartizione dei collegi uninominali tra FdI, Lega, FI e centristi. Il centrosinistra attacca, ma arranca. Dialogo con il Dd solo se si schiera con i più deboli, ha detto ieri Conte. Da Letta, intanto, “nessun veto su Renzi”.
Il Pd cerca di fare il perno di una nuova alleanza di centrosinistra, ma non è detto che ci riesca, secondo Antonio Pilati, saggista, esperto di comunicazione, già componente di AgCom e Antitrust. I dem hanno governato per dieci anni in posizione di maggior beneficiario, ma adesso potrebbero dover “restituire” l’incasso.
Cosa dire della smentita da parte di Gabrielli di quanto riportato da La Stampa?
È una campagna elettorale in cui non si esita a far ricorso a tutte le armi possibili. Soprattutto, la guerra in Ucraina ha creato un’enorme bolla mediatica che rende difficile esprimere opinioni o adottare iniziative diverse dalla versione ufficiale.
Una ricerca di Vote Watch, organizzazione specializzata nell’analisi degli atti legislativi dell’europarlamento, dimostra che fino alla guerra in Ucraina i voti più favorevoli al Cremlino sono venuti da Podemos, Die Linke, Pd e M5s.
Non mi sorprende. La narrazione a senso unico post 24 febbraio ha cambiato tutto il sistema della comunicazione, distorcendo il discorso politico e mettendo all’indice chi non è allineato. Però mi sembra che ora i temi stiano diventando altri.
Vale a dire?
L’economia sta passando in primo piano, la campagna elettorale alla fine non potrà prescindere dalla crisi economica.
Ma la politica estera continua a farla da padrone. Ieri Meloni ha detto che FdI si fa garante del sostegno all’Ucraina.
La Meloni si è collocata per tempo su posizioni iper-atlantiste. Prese di posizione come queste si inseriscono in questa scelta.
Nello stesso tempo, è l’avversario designato, perfetto, per il Pd e Repubblica. Come funziona il gioco?
È vero, anche se titolare “La falange” dopo il vertice di centrodestra mi pare fuori luogo. Cosa c’entra Francisco Franco? La Meloni è l’avversario ideale per due motivi. Primo, i sondaggi. Attestano che c’è una forte corrente di opinione in suo favore. Secondo, è il personaggio su cui si può fare contro-campagna elettorale appellandosi a concetti, come l’antifascismo, di facile presa e unificanti per l’opposizione. Il punto vero è che la sinistra è in seria difficoltà.
Per la frana del campo largo?
Letta aveva puntato tutto, da più di un anno, sull’alleanza con M5s. Ad un certo punto l’alleanza gli è scoppiata tra le mani e si è ritrovato con un calcolo politico di medio-lungo periodo andato in frantumi. Ma si è trattato di un errore quasi inevitabile.
Cosa significa?
Il Pd sta pagando il prezzo di dieci anni di permanenza al governo, salvo l’interruzione gialloverde, senza legittimazione politica. Da Monti a Draghi ha fatto parte di esecutivi tecnici sponsorizzati dal presidente della Repubblica, oppure di governi sostenuti dai voti di parlamentari eletti con il centrodestra.
Ma in che modo questo gli toglierebbe legittimazione politica?
Di fatto il Pd ha governato come un rappresentante dell’establishment amministrativo pubblico. Fino al 2018 questo gioco ha retto bene, poi è entrato in crisi. Il Conte 2 è il primo tentativo di contrastare questa crisi. Ai 5 Stelle, che sono molto malleabili e hanno ricevuto tanti suggerimenti dalla segreteria generale del Quirinale, è toccato tenere in piedi una legislatura sghemba, incoerente.
Solo colpa loro?
No. Già i risultati elettorali del 2018 non contenevano in sé delle maggioranze coerenti, essendoci un partito con più di un terzo dei seggi – M5s – che era contro tutti gli altri.
A quel punto?
In Paesi come Spagna e Israele in questi casi si va a votare, anche se sono passati tre mesi dalle elezioni precedenti, perché si ritiene importante avere parlamenti rappresentativi e funzionanti. Il nostro parlamento invece si è man mano politicamente delegittimato, ma invece di votare si sono preferite soluzioni “creative”.
Se torniamo al prezzo politico da cui siamo partiti?
In dieci anni si è creata una situazione complessa e paradossale in cui il Pd governava, in posizione di maggior beneficiario, ma i costi politici si scaricavano sul sistema politico in generale. Potrebbe darsi che ora al Pd tocchi di pagare più degli altri.
Il Pd può ancora essere l’asse di una possibile alleanza a sinistra? O si metteranno tutti insieme dopo il voto?
Difficile dirlo. Vediamo i punti fermi. Uno: oggi non ci può essere un’alleanza elettorale tra Pd e M5s dopo il voto contro Draghi. Due: il programma di Fratoianni mi sembra poco compatibile con quello di Calenda, quindi fare grandi coalizioni prima del voto mi pare francamente complesso. Probabilmente il Pd andrà al voto con una coalizione più circoscritta.
Qual è la sfida di tutti?
Intercettare il senso di frustrazione e paura degli italiani davanti ad una situazione economica che peggiora di giorno in giorno.
C’è qualcosa che potrebbe bucare la bolla mediatica e politica?
In Italia l’informazione è favorevole da tempo alla sinistra. Ad avere impresso una svolta totalitaria alla narrazione è stata senza dubbio la guerra in Ucraina. Adesso l’attenzione sull’Ucraina è diminuita, e il tema economico sta crescendo. Potrebbe cambiare i giochi.
Come?
Se i partiti e le coalizioni sono creativi, devono proporre soluzioni convincenti. Se si limitano a dire “torni Draghi”, che vuol dire poco o nulla, sarà difficile convincere gli italiani che c’è una soluzione all’altezza dei problemi.
Mettiamoci nei panni di un leader. Se dice agli italiani la verità, cioè che in autunno vedranno una crisi economica senza precedenti, perderebbe voti.
Potrebbe prenderli se all’allarme unisce una via d’uscita, delle soluzioni realistiche, percorribili. Veniamo da una lunga fase di democrazia sospesa, di cui il governo Draghi è stato la più raffinata forma di sublimazione. Quell’esperienza si è chiusa, adesso bisogna ricominciare a fare politica.
(Federico Ferraù)
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