«In Italia le elezioni locali hanno sempre avuto una valenza politica nazionale. È stato così in occasione di test meno importanti e lo sarà ancora una volta, anche perché si voterà in alcune grandi città e verranno chiamati alle urne ben 12 milioni di italiani». Antonio Polito, a meno di una settimana dal voto, analizza con Ilsussidiario.net la posta in gioco delle imminenti elezioni amministrative. «Non a caso la crisi dell’ultimo governo Berlusconi iniziò con la sconfitta di Moffa alle provinciali di Roma. Da lì nacque quel trambusto politico che portò alla nascita dell’asse anti-tremontiano Fini-Follini, alle conseguenti dimissioni del ministro dell’Economia e, infine, alla sconfitta delle politiche».
Il voto milanese, anche grazie alla candidatura personale di Berlusconi, è quello che più di altri sembra aver ormai assunto questo significato.
Certo, se il centrodestra dovesse perdere Milano ci sarebbero tutte le condizioni per una crisi politica profonda che la Lega sarebbe certamente pronta ad aprire. Penso però che questa rimarrà un’ipotesi di scuola. Il voto di Napoli invece potrebbe essere decisivo per stabilire quali saranno i vincitori e gli sconfitti di questa tornata elettorale. Il capoluogo campano infatti, da quando esiste l’elezione diretta del sindaco, non è mai stato governato dal centrodestra. Un’affermazione in questa città sarebbe importante per Berlusconi. Al contrario, se vincesse invece un centrosinistra capace di difendere le roccaforti Torino e Bologna, toccherebbe all’opposizione festeggiare, anche a seguito di una sconfitta onorevole nel capoluogo lombardo dove, oggettivamente, non sembra esserci partita.
Ma chi viene favorito secondo lei dalla radicalizzazione dello scontro?
Guardi, dietro gli ultimi attacchi del premier alla magistratura c’è sicuramente un’insofferenza nei confronti della Procura di Milano, ma soprattutto un calcolo politico. Berlusconi è sicuro, secondo me a ragione, che più il voto si politicizza e più lui ne può ricavare un vantaggio. È una strategia che funziona da 17 anni e il Cavaliere in questo momento ha estremamente bisogno di un successo.
Per quale motivo innanzitutto?
La sua maggioranza traballa da un punto di vista politico e numerico, l’ultima nota del Quirinale lo avverte del fatto che la sua maggioranza verrà considerata formalmente diversa da quella uscita dalle urne e per questo motivo incomberà sul governo l’ipotesi di un dibattito parlamentare e di un voto di fiducia. Infine pesa il rapporto con la Lega mai così tormentato e la necessità di inviare un segnale forte a tutti i “correntisti” interni. È evidente che in questo contesto Berlusconi voglia dimostrare a tutti di essere ancora un match winner.
Che partita si gioca invece all’interno del centrosinistra?
Una sconfitta a Torino o a Bologna potrebbe avere effetti disastrosi incalcolabili per la coalizione e per i suoi leader. A mio avviso però più che una sfida tra Bersani e Vendola si giocherà quella tra il segretario del Pd e Walter Veltroni, che ha già chiesto una verifica interna dopo il voto. La candidatura di De Magistris a Napoli invece è la conferma del fatto che di Pietro gioca per sé e che non ha la preoccupazione di costruire un’alternativa a Berlusconi. Non c’è comunque da stupirsi più di tanto, in Parlamento Pd e Idv hanno votato due mozioni opposte su un tema cruciale come l’intervento in Libia. Piuttosto non si capisce come sia possibile parlare ancora di un’alleanza tra questi due partiti alle prossime politiche.
Tornando al caso bolognese, anche il possibile “sfondamento” della Lega è un’ipotesi di scuola?
Non lo è anche perché a livello politico, prima che elettorale, lo sfondamento c’è già stato: il centrodestra a Bologna si presenta con la faccia di un leghista. Questa è una novità assoluta e una grande sconfitta per il Pdl.
Ma dietro i malumori leghisti secondo lei si nasconde la tentazione di uscire dalla colazione o stiamo parlando soltanto di distinguo che hanno una motivazione elettorale?
Non è solo un problema di congiuntura elettorale. Per la Lega è giunto il momento di fare una scelta strategica anche perché probabilmente l’alleanza con Berlusconi ha già dato tutti i frutti che poteva dare. Per ora il Carroccio non ha ancora sciolto i suoi dubbi ed è percorso da tentazioni contrastanti che vengono messe a tacere soltanto dagli interventi autoritari di Umberto Bossi. Di certo una parte del partito partecipa al grande gioco del “dopo Berlusconi”. Lo si vede da come viene usato Tremonti, a volte come spauracchio, altre volte come potenziale candidato o come interlocutore privilegiato.
Quello di domenica sarà un appuntamento molto importante anche per Gianfranco Fini. È il primo test elettorale per Futuro e Libertà e in generale per il Terzo Polo.
È vero, anche se bisogna constatare che il Fli, la grande novità politica dell’ultimo anno, arriva al primo appuntamento così sfibrato da non riuscire a presentare nemmeno un candidato in una delle città che contano. Se Italo Bocchino si fosse candidato a Napoli, ad esempio, l’impatto sarebbe stato diverso, al di là delle esigue speranze di vittoria. In questa situazione ai futuristi, come si può notare in questi giorni, non resta che ridimensionare il voto, trattandolo alla stregua di un passaggio interlocutorio e locale. Lo stesso Terzo Polo in generale non mi sembra pronto né a una prova di forza, né tantomeno a fare da ago della bilancia. Al secondo turno non potrà fare altro che appoggiare i candidati che saranno dati per vincenti.