In Armenia, piccolo paese cristiano di tre milioni di abitanti stretto tra potenze islamiche come l’Azerbaijan (da cui è appena stato sconfitto dopo l’ennesima guerra) e la Turchia, le cose cambiano alla velocità della luce. A lungo contestato, addirittura con una invasione del Parlamento, per la sconfitta subita nella recente guerra con gli azeri, il premier Nikol Pashinyan ha stravinto le nuove elezioni politiche, anticipate proprio in seguito al caos suscitato dalla sconfitta.
Il suo maggior oppositore, l’ex presidente della Repubblica, Robert Kocharyan, ha ottenuto solo il 21% dei voti contro il suo 59,3%. “Va detto” ci ha spiegato Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica di Armenia in Italia, “che l’opposizione intera ha raggiunto il 47% dei voti, purtroppo è tutta frazionata e l’unico partito che poteva concorrere sperando di vincere era quello di Kocharyan”.
Per Kuciukian la situazione si sta svolgendo in positivo, perché la maggior preoccupazione degli armeni è la sicurezza contro il potente nemico azero, appoggiato dalla Turchia, “che continuano a fare la voce grossa e a minacciare un nuovo genocidio. Fortunatamente sono già stati presi accordi con la Russia, che ha schierato truppe di interposizione al confine nord, quello più minacciato dagli azeri”.
Era prevista una vittoria di Pashinyan con così largo vantaggio?
Era una vittoria prevista ma non con questo ampio margine, ci si aspettava una competizione molto più serrata. Va precisato che ha vinto con il 59%, mentre tutte insieme le forze di opposizione raggiungono il 47%. C’era quindi una situazione di instabilità e una grande aspettativa, l’opposizione però è frazionata e l’unico partito che poteva competere era quello di Kocharyan, che ha raggiunto il 21%. Pashinyan potrà tranquillamente mettere in piedi un governo capace di portare avanti le ultime questioni importanti sulle quali già si è cominciato a lavorare.
Ad esempio?
Al confine nord dell’Armenia, che veniva continuamente attaccato dagli azeri, adesso è stata interposta l’armata russa: è un primo tassello positivo nel quadro della stabilizzazione dell’Armenia.
Pashinyan però, premier durante la guerra persa con l’Azerbaijan, era stato molto criticato. Come mai ha raccolto questo grande successo?
Certo, era il premier, ma la gente ha capito che era ancora l’unica soluzione. Gli armeni hanno compreso le ragioni profonde. Del resto, cosa può fare un popolo di 3 milioni di persone contro 90?
Ci sono state manifestazioni e scontri non da poco contro Pashinyan…
Quando si perde una guerra non è che tutto poi va avanti tranquillamente: con i parenti dei morti, i parenti dei prigionieri non rilasciati, quasi 50mila profughi arrivati dal Nagorno, è ovvio che arrivino caos e malumore.
Nella sua campagna elettorale Pashinyan ha agitato, come suo maggiore slogan, il rischio di una guerra civile. È il desiderio di stabilità che ha portato il popolo armeno a votarlo?
Durante questa campagna elettorale se ne sono dette di tutti i colori da una parte e dall’altra, come peraltro succede anche in Italia. Dipende da tanti fattori, nelle democrazie è normale esprimersi pubblicamente anche in termini poco pacifici.
Il tema a cui oggi si tiene di più è la sicurezza. Si temono altre tensioni con l’Azerbaijan?
Azerbaijan e Turchia continuano a fare propaganda in modo eccessivo e violento, cosa che spaventa gli armeni. Ogni giorno dicono di voler portare a termine il genocidio, di voler trasformare l’Azerbaijan nel centro operativo dei Lupi grigi (organizzazione semi-terroristica turca, ndr) e di voler trasferire in Azerbaijan un nucleo armato turco: però sono solo parole. Alla resa dei conti c’è di mezzo la Russia, che non permetterà che alzino la voce più di tanto.
Quindi lei è fiducioso che l’Armenia abbia imboccato una strada verso la stabilità?
Sì, sono fiducioso. In Armenia circola una barzelletta che dice: c’è una notizia cattiva e una buona. Quella cattiva è che ha vinto Pashinyan, quella buona è che ha perso Kocharyan.
Questo la dice lunga su una realtà divisiva?
Raccoglie l’umore della gente, il male minore. Gli armeni da 3mila anni sono abituati a vivere così, e non hanno mai fatto una guerra di conquista, hanno preso sempre grandi bastonate, ma si sono sempre ripresi con l’arte e la cultura, e adesso con la tecnologia. Poi c’è la diaspora che li aiuta e li sostiene moralmente, una cosa molto importante.
(Paolo Vites)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI