È stata un’elezione decisa all’ultimo voto, ma alla fine Lula Da Silva torna a essere Presidente del Brasile dopo 13 anni: un risultato atteso e sperato da molti, specie a livello internazionale, visto il sostegno brindato dai media non solo in Brasile ma soprattutto in Occidente. Un risultato, però, che consegna nei suoi numeri percentuali (50,84% e 49,16%) un Paese spaccato in due e dove si è alla fine attuata la situazione che molti prevedevano, e cioè un Parlamento dove il PL di Bolsonaro è in chiara maggioranza. contrapposto a un Presidente del PT suo avversario, che però dovrà dimostrare una capacità politica immensa (e finora mai apparsa) per poter portare avanti un programma che, rimasto praticamente invariato negli anni, aveva a suo tempo portato la Nazione a una crisi importante, una delle peggiori della sua storia.



Difatti, se si confrontano i dati del 2015 (Presidenza Lula) con quelli odierni, il Pil da un -3,5% è passato a un +3,1%; i conti pubblici da un deficit di 114 a un attivo di 119 miliardi di reais, l’inflazione dal 10,67% al 4%. La povertà, che nel 2015 aveva un tasso del 9,2% è scesa al 4,1% e il salario minimo è passato da 788 a 1212 reais mensili. Ma durante la Presidenza di Bolsonaro è aumentata straordinariamente anche la sicurezza e gli omicidi da 59.080 sono diminuiti a 47.503: anche dal punto di vista commerciale il Brasile ha goduto di una prosperità sconosciuta da molto tempo. L’indice della borsa Brasiliana (BOVESPA) è passato da 43.349 a 114.640 punti.



Insomma, alla fine si può dire che Lula è potuto tornare al potere grazie all’appoggio mediatico straordinario che ha ricevuto e ora deve dimostrare di poter continuare nel cammino di successi che il suo predecessore ha instaurato, seppur sempre sommerso da polemiche continue dovute al suo carattere non certamente facile che, a causa di diverse uscite francamente polemiche, ha provocato un’onda mediatica che alla fine, lo ripetiamo, l’ha travolto.

Ora per il Paese si prospetta il problema del suo inserimento internazionale, visto che Lula si è sempre dichiarato apertamente favorevole al gruppo di Sao Paulo, un organismo del quale fanno parte i Paesi latinoamericani che godono di regimi populisti, chiaramente distanti dal blocco occidentale e favorevoli a uno sviluppo delle relazioni con la Russia e la Cina: ma riuscirà il nuovo Presidente ad applicare il suo programma con la metà del Paese che gli è chiaramente contro e non può sopportare di essere governata da un politico che solo grazie a potenti aiuti del STB (il tribunale superiore del Brasile) ha potuto partecipare alle elezioni, visto che, a causa del cambio di Tribunale competente, ha in pratica annullato sentenze che lo vedevano condannato per corruzione?



I quesiti sono tanti e purtroppo non di facile soluzione, inserendosi pure in una geopolitica internazionale alquanto problematica di questi tempi: di certo il Continente latinoamericano, dopo questa consultazione, è ormai dominato da un progressismo populista che però a breve (ottobre 2023) quasi sicuramente perderà l’Argentina, visto che il peronismo kirchnerista, che l’ha portata sul lastrico, perderà le elezioni.

Insomma, il Brasile pare aver scelto di preferire il libertarismo e il populismo che in passato l’hanno travolto in ripetute crisi, al benessere e la diminuzione della povertà: in poche parole ieri ha vinto l’incertezza sul progresso.

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