E così, come da noi ampiamente previsto, la cavalcata trionfale di Lula da Silva verso la presidenza del Brasile si è invece trasformata in un imprevisto (dai media brasiliani e internazionali) mal di testa visto che, con i risultati ottenuti domenica, si dovrà andare al ballottaggio il 30 ottobre. Ci si arriverà con un Paese praticamente spaccato in due: da una parte Lula con il 48,43%, dall’altra Bolsonaro con un 43,20%. Un divario molto ristretto e, come ripetiamo, inatteso.
La giornata di domenica, una volta chiusi i seggi, aveva visto inizialmente l’attuale Presidente arrivare a un 48% dei suffragi, con il suo avversario staccato e non oltre il 40%: poi sono arrivati i voti del nord-est brasiliano, dove la votazione si è trasformata in un vero e proprio plebiscito per Lula, al contrario che nel resto del Brasile dove Bolsonaro ha vinto nettamente, specie nelle città importanti come Sao Paulo e Rio de Janeiro, consegnando alla fine, lo ripetiamo, un Paese diviso, dove probabilmente la differenza, seppur minima, tra i due candidati proviene proprio dalla grande regione del Nord (ora chiamata dai supporters di Bolsonaro la “Cuba do Sul”), luogo in cui le quantità di sussidi e piani assistenziali hanno fatto la differenza.
Altro fattore, però meno decisivo, è stato rappresentato dal voto estero (non effettuato per posta o con l’uso di piccioni viaggiatori come nelle elezioni italiane, ma informatizzato) nel quale c’è stata, pure lì, una differenza netta. L’Australia e l’Europa hanno votato per Lula, complice pure la posizione adottata da Bolsonaro sul versante geopolitico mondiale a favore (o perlomeno con un’astensione in alcuni casi) di Putin, anche se Lula è un populista convinto e alleato dei Paesi latinoamericani dove questo regime si è installato; in Asia e nel resto del Mondo (esclusa l’America Latina) l’attuale Presidente ha avuto la meglio.
La giornata elettorale ha registrato una grandissima affluenza alle urne (80%), al punto che in alcuni casi si è dovuto provvedere a posticipare l’orario di chiusura dei seggi. La copertura mediatica è stata asfissiante al punto che le autorità hanno dovuto intervenire perché molti giornalisti, piazzatisi fuori dai seggi, hanno iniziato a intervistare i votanti chiedendogli il nome del candidato appena votato, contravvenendo a una regola ferrea che impedisce di far domande dopo il voto. A quel punto gli exit pool sono stati interrotti e si è dovuto attendere lo spoglio delle schede per avere i primi risultati.
Ora la situazione è tutta concentrata, ovviamente, sul 30 ottobre, ma la certezza mostrata sulla vittoria di Lula è sfumata: Bolsonaro si è rivelato più di un osso duro da sconfiggere. Bisognerà vedere, a questo punto, in che posizione si metteranno i partiti di centro e chi consiglieranno di votare ai propri elettori. Perché come sempre si rivelano l’ago di una bilancia tra continuare a dare la fiducia a un personaggio mediaticamente criticabilissimo per certe uscite un po’ esagerate sul fronte del conservatorismo, ma che ha portato il Brasile a un boom economico come non si registrava da più di un decennio e riportato la sicurezza a livelli molto alti, o fidarsi di un personaggio appartenente all’area progressista, ma dal passato tenebroso per la sua corruzione e soprattutto, lo ripetiamo, alleato di personaggi appartenenti al cosiddetto “Fori de Sao Paulo”, una specie di club che riunisce i leader del populismo latinoamericano e che non promette nulla di buono sul fronte delle libertà economiche ed individuali.
Questa tornata elettorale è poi la conferma di una regola che ormai si sta imponendo nel mondo e che vede le politiche di centro sconfitte per far posto a un bipolarismo tra fronti opposti, cosa che può essere il preludio a un nuovo ordine mondiale che non promette nulla di buono.
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