Le elezioni regionali della Calabria saranno un importante banco di prova per il centrosinistra e il centrodestra che sostengono l’esecutivo Draghi. Il Pd vorrebbe stare con il Movimento 5 Stelle, soprattutto perché guidato da Giuseppe Conte, già garante dell’alleanza di governo giallorossa fino allo scorso gennaio. Però un pezzo della base grillina (virtuale) non gradirebbe, perché “il Pd è il partito delle banche, del palazzo” e degli inossidabili “Mario Oliverio, Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo”, noti portatori di voti, fortissimi nel Cosentino.



I dem provano a levarsi di dosso questa immagine pesante. Perciò, dopo varie titubanze, tatticismi e “doppi forni”, con l’avallo di Enrico Letta hanno espresso il loro sostegno corale alla candidatura del giovane avvocato Nicola Irto, già presidente del Consiglio regionale della Calabria e, dicono alcuni militanti 5 Stelle, “sempre riverente nei confronti di Oliverio”, Mario, presidente della Regione dal dicembre 2014 al gennaio 2020. Il Partito democratico ha l’esigenza di rinnovarsi: per piacere al Movimento 5 stelle, per sperimentare quanto valga l’asse Letta-Conte in un territorio come quello calabrese, pieno di commissari dalla sanità agli enti locali, in grave ritardo sulla banda ultralarga e sui servizi digitali, con una gestione dei rifiuti ancora a terra, guai irrisolti nel settore idrico e infiltrazioni criminali nei palazzi, nell’amministrazione pubblica, negli ospedali e nelle imprese.



La partita è grossa: in ballo c’è una bella fetta degli 82 miliardi che nel Pnrr sono previsti per il Sud. Da un lato c’è il Piano di Draghi, con il progetto della transizione digitale, argomento ricorrente dei 5 Stelle, costretti a fare i conti con la volontà di Davide Casaleggio di tenersi i dati degli iscritti e di piazzarsi con il senatore Nicola Morra e sodali all’opposizione, in modo da recuperare consensi e credibilità. Dall’altro lato c’è da considerare un contesto economico e sociale, dal Pollino allo Stretto di Messina, condizionato da decenni di politiche di assistenzialismo, di clientele e di affari con la ’ndrangheta imprenditrice, come confermato dai dati economici e da numerose inchieste delle Dda di Catanzaro e Reggio Calabria.



Nel centrodestra calabrese, al netto della calma apparente, vi sono elementi di frizione a partire dalle candidature a presidente. Fratelli d’Italia vorrebbe proporre la deputata Wanda Ferro. Forza Italia è spaccata sull’ipotesi di Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza, e l’alternativa del fratello Roberto, capogruppo del partito alla Camera. La Lega punta sul presidente della Regione facente funzione, Antonino Spirlì, che peraltro sui social è il più seguito dei politici calabresi.

Luigi de Magistris, sindaco uscente di Napoli, e Carlo Tansi, ex capo della Protezione civile regionale, hanno formato il “TanDem”, patto civico con cui puntano a raccogliere il dissenso crescente, utilizzando lo stesso linguaggio e gli stessi temi dei pentastellati 1.0. De Magistris, Tansi e i loro candidati affermano di voler “lottare contro il sistema”, “mandare a casa il Partito unico della torta”, “combattere i colletti bianchi, i colletti sporchi, la criminalità organizzata e il malaffare”. Il loro schieramento è assieme arancione e arcobaleno, molto spinto a sinistra con l’appoggio della Cgil e la candidatura di Mimmo Lucano, già sindaco di Riace e nel 2016 inserito dalla rivista americana Fortune nell’elenco dei 50 uomini più influenti del pianeta. Iperboli a parte, de Magistris e Tansi si propongono come la novità, “la forza di piazza”, “l’onda popolare”. Tuttavia, al di là dei loro slogan fissi, si parlano per lettera, si guardano con sospetto e non fanno squadra, se non nella loro narrazione contro i partiti tradizionali (e perfino contro M5s), finora priva di analisi, di proposte e di soluzioni.

Così in Calabria rinasce il Terzo polo, che l’esperienza di governo dei pentastellati, la strategia invernale di Renzi e l’avvento di Draghi hanno cancellato dal quadro politico nazionale. Nonostante la generale sottovalutazione del peso elettorale di De Magistris e Tansi, questo loro soggetto politico potrebbe raccogliere un voto di protesta molto più ampio delle previsioni attuali. Perché in Calabria, regione che ha ancora bisogno di eroi e di populisti, rende molto il discorso dell’antipolitica, della mitizzazione della vittima del complotto, proiettato nell’immaginario collettivo in un tempo in cui nessuno controlla la fondatezza delle uscite pubbliche.

È il caso di una delle ultime di de Magistris, che, a proposito dell’accoglimento della richiesta di revisione del suo procedimento disciplinare davanti al Csm, ha affermato: “A distanza di anni, dopo le confessioni di Palamara che ammette che fui fatto fuori perché non appartenevo al Sistema, dopo tutti i procedimenti penali di questi anni che hanno dimostrato la bontà del nostro operato, si accerta l’ingiustizia della condanna disciplinare che provocò il trasferimento a Napoli per incompatibilità ambientale e la sottrazione delle funzioni di Pm”.

In un periodo in cui la memoria si perde come ago in un pagliaio, la parola “sistema”, che indica un’entità astratta e indefinibile, nell’elettorato locale fa molta più presa dei ragionamenti sull’emigrazione dalla Calabria: per cure, per lavoro, per garanzie di una vita libera e normale. De Magistris lo sa bene e la ripete come un mantra: sia per nascondere l’insuccesso clamoroso dell’inchiesta Why not, classico esempio della montagna che ha partorito il topolino; sia per mettere all’angolo il Pd, che magari alla fine gli cadrà inerme davanti alle ginocchia. Non a caso l’ex pm, ex parlamentare europeo e tra poco ex sindaco di Napoli, da tempo si guarda bene dall’attaccare Berlusconi, sia da Massimo Giletti che altrove. Sarà un caso, un elemento di prova oppure un complotto, l’ennesimo, contro il nuovo eroe dei due mondi, giudiziario e politico?