“Questa è l’ultima opportunità per Torino”, ripete nei comizi il candidato sindaco del centrodestra Paolo Damilano. Con tono grave parla di “ultima chance” riferendosi all’esito delle elezioni del 3 e 4 ottobre e alla possibilità di riqualificare Torino grazie ai fondi del Pnrr. Damilano non la usa in tal senso, ma la frase è azzeccata anche per riferirsi alla chance di strappare Torino al centrosinistra.
Un’occasione più unica che rara, visto che qui il centrodestra non ha mai governato da quando è stata introdotta l’elezione diretta del sindaco, nel 1993. Da allora Torino è diventata un fortino del centrosinistra, fino alla sconfitta coi grillini nel 2016. Ma cinque anni dopo la vittoria di Chiara Appendino, il quadro sembra favorevole: la candidata 5 Stelle Valentina Sganga rischia di non raccogliere neanche il 10%, mentre Stefano Lo Russo (centrosinistra) e Paolo Damilano sono testa a testa al 40%. Si dirà: l’alleanza tra Pd e M5s è fallita anche a Roma. Vero, e fa riflettere che proprio le due città in mano ai grillini siano le più contendibili dal centrodestra, ma Michetti nei sondaggi si ferma al 31%.
A Torino, Damilano può contare sul fatto che l’alleanza del Conte 2 è naufragata nonostante gli sforzi della sindaca Appendino, che ha cercato in tutti i modi di imporla scommettendo sul nome del rettore del Politecnico Guido Saracco. Ma l’accordo tra i maggiorenti di Pd e M5s è stato reso impossibile dai forti contrasti che sia la sindaca sia la sua capogruppo in Sala Rossa, Valentina Sganga, hanno intrattenuto negli anni con l’allora capogruppo Pd Stefano Lo Russo in Consiglio comunale.
Lo Russo e Sganga, sconosciuti a livello nazionale, sono nomi molto identitari per i rispettivi partiti a livello locale. Entrambi hanno reso impossibile l’alleanza al primo turno per i propri partiti, e quindi è quasi impossibile che al ballottaggio vedremo un accordo Pd-5 Stelle.
Eppure il Movimento 5 Stelle, a Torino, guarda apertamente a sinistra: “Col centrodestra c’è una differenza ideale e valoriale”, dichiara in tutta tranquillità la Sganga mentre si autodefinisce “di sinistra”. Sganga rischia quindi di togliere voti progressisti a Lo Russo, anche per via dell’accordo stilato coi Verdi, che sostengono Sganga e hanno contribuito a renderla la candidata con il programma più credibile sull’ambiente.
Lo Russo invece si caratterizza come il candidato più esperto della macchina comunale tra i tre in lizza per la poltrona di primo cittadino, anche per via del suo passato da assessore all’Urbanistica e la sua lunga militanza in Sala Rossa, dove staziona dal 2006.
Damilano dal canto suo è stato quasi impeccabile: non si è mai fatto trascinare nella polemica e ha fatto una campagna sobria, mantenendosi al centro, per rassicurare un elettorato tradizionalmente spostato a sinistra ma che vanta una componente liberale di peso. Durante la campagna elettorale, sia Lo Russo che Damilano hanno parlato più che altro di lavoro, tema su cui il Comune di per sé non può fare troppo ma che resta irrinunciabile nella città che più ha sofferto la deindustrializzazione e l’abbandono della Fiat, che a Torino ormai produce un decimo delle auto che uscivano dagli stabilimenti torinesi, Mirafiori in testa, prima della crisi del 2008.
La spaccatura a sinistra è dunque un assist perfetto per Damilano, forte del fatto che la destra locale non ha mai governato e almeno non ha danni da farsi perdonare. Appendino invece è stata profondamente contestata, ma può comunque vantare di aver quasi azzerato il deficit di una città su cui grava un debito enorme accumulato nel primo decennio del 2000, e che resta a rischio dissesto.
Damilano si rifiuta di parlare di massimi sistemi e ha schivato ogni rimando alla politica nazionale bollandolo come “inutile per Torino” e frutto di un approccio ideologico che dopo la pandemia “non ci possiamo più permettere”. L’Italia, dopo la pandemia, è un paese da ricostruire. Per questo l’imprenditore del Barolo guarda con ammirazione al premier: “Le linee guida del presidente del Consiglio hanno lo stesso spirito di quelle della mia lista Torino Bellissima”, ha detto commentando il discorso di Draghi in Senato.
Ma dal governo dell’ex banchiere Bce Damilano non trae solo ispirazione: a Roma Damilano conta su uno sponsor d’eccezione, il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti. Il leghista di governo ha detto a La Stampa che “i candidati delle comunali non li ha scelti lui” e ha silurato Michetti. Il giorno stesso però ha beatificato Damilano, presentandolo come un “candidato eccellente”. Giorgetti è un nome tutelare di rilievo e un politico che mostra di rado entusiasmo. È uno sponsor che nessuno dei suoi competitor può esibire e che venerdì tornerà a Torino come ospite speciale per la chiusura della campagna del suo pupillo. Secondo Damilano la capacità di intessere relazioni sarà fondamentale per portare eventi, partnership e più in generale occasioni di crescita nella Torino del futuro. Poter vantare un rapporto privilegiato col ministro dello Sviluppo economico è una bella rassicurazione sulla sua capacità di intessere rapporti: anche perché Damilano non è un leghista, è un candidato civico che aveva iniziato la campagna mesi prima di ricevere l’investitura ufficiale dei leader del centrodestra.
Ma la sua campagna ha avuto certamente dei nei. Damilano ha proposto anche un tunnel sotto il Po, la chiusura della stazione di Porta Nuova e la costruzione di una monorotaia. Queste grandi opere hanno ricevuto pochi plausi in una città che perde abitanti da anni, con quartieri come Barriera di Milano o il quartiere quasi centrale di Aurora ormai trasformati in ghetti abitati da soli immigrati, perché pochissimi italiani vogliono viverci. Torino si accontenterebbe di ristrutturare il proprio patrimonio edilizio e di aprire la seconda linea della Metro, per cui devono ancora iniziare i lavori, in un tempo ragionevole. Ma a chi glielo ricorda, Damilano risponde: “O si sogna stavolta o non si sogna mai più”.
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