Inebetiti dal susseguirsi degli eventi come la caduta del Governo, la nuova paura del vaiolo delle scimmie, la siccità e il caldo infernale, la partenza per le (forse ultime) vacanze, gli italiani assistono distrattamente ai combattimenti mediatici delle forze politiche grandi e piccole, obbligate a fare i salti mortali nel cercare di formare le aggregazioni imposte da una legge elettorale poco adatta al contesto che si è formato.
Venendo al pettine i nodi del frettoloso taglio dei parlamentari realizzato senza una organica riforma del sistema, i partiti si ritrovano alle prese con un manuale Cencelli da applicare in una geografia di collegi elettorali rivoluzionata e in gran parte sconosciuta.
Qui non intendo occuparmi di politica, ma di comunicazione, e del triste spettacolo che tutta la classe politica indistintamente sta dando in questi giorni.
È del tutto ovvio che la comunicazione giochi un ruolo chiave nella formazione del consenso. Motivo per cui i partiti maggiori si sono sempre affannati nel cercare di occupare il Servizio pubblico, e spadroneggiare su giornali e tv a loro vicini.
Le cose sono parecchio cambiate da quando l’avvento dei social media ha permesso una maggiore circolazione di idee e proposte. Non è tutt’oro quel che luce, ma non si può non osservare che senza internet la cosiddetta Primavera araba (poi abortita) non si sarebbero potute verificare.
Nel frattempo è nata una nuova categoria di consulenti, i cosiddetti spin doctor, sedicenti esperti di story telling e di algoritmi dal curriculum spesso assai nebuloso, che ora affollano i talk show in attesa del prevedibile ritorno dei virostar.
A osservare quello che succede, pare che non abbiano grandi competenze nel campo della reputazione e dell’immagine. Che oggi si costruisce in gran parte tweet dopo tweet, post dopo post. E che poi è inutile cancellare, perché la rete non perdona, dato che risputa fuori tutto.
Così è avvenuto per le contraddittorie affermazioni di tanti virologi, e così avviene per tanti leader politici che hanno incautamente affidato a Twitter o Facebook le proprie intemerate e le proprie polemiche. Il minimo che un elettore ne possa trarre è un senso di disgusto per le sceneggiate e le scaramucce più adatte a una farsa di Feydeau che a una competizione elettorale.
Personaggi che si sono scambiati per mesi insulti e critiche feroci si ritrovano a sorridere insieme dietro il tavolo di una conferenza stampa, per poi tornare a litigare su Twitter, e poi ripresentarsi ancora sorridenti alla conferenza stampa successiva.
Signori e signore che per molto tempo hanno strillato dentro e fuori dal Parlamento “Mai con quel partito”, ora sono in cerca disperata di un seggio proprio da quello. Ci vuole così tanto a immaginare lo sconcerto nei cittadini elettori che fino a oggi li avevano ingenuamente e fedelmente seguiti?
Possibile che spin doctor e parlamentari pensino che i cittadini-elettori siano sempre pronti a farsi imbambolare dall’ultimo slogan e dall’improvvisato simbolo carico di nomi relativi alla neonata accozzaglia?
Peggio ci si sente se si esamina la situazione del cosiddetto dissenso anti-sistema, che secondo alcuni sociologi sta raggiungendo la ragguardevole cifra del 30%. La troppo ravvicinata data delle elezioni sta mettendo in enormi difficoltà le liste che in pochi giorni di agosto si trovano costrette a raccogliere decine di migliaia di firme validate (diversi commentatori ci hanno vista una perfida mossa per escluderle dalla competizione elettorale). Come se non bastasse, invece di raccogliersi tutti in una unica lista, i cosiddetti dissidenti si sono sparpagliati in più liste, in un subbuglio di calorose adesioni e improvvise uscite che lasciano presupporre risultati di assai scarsa significanza.
Chi vivrà vedrà. L’unica conclusione è che tutti avrebbero bisogno di un corso accelerato di comunicazione, ma bello tosto.
Ma oramai ê troppo tardi.
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