Martedì 8 novembre gli americani torneranno alle urne per le cosiddette elezioni di metà mandato, dette di “midterm”. E’ un voto che, a seconda del risultato, potrà avere ripercussioni sul margine di azione del presidente democratico Joe Biden da quel giorno alle prossime presidenziali che si terranno nel 2024. E i sondaggi da tempo dicono che il Congresso, il Parlamento statunitense, quasi sicuramente tornerà in mano repubblicana, cosa che, ci ha spiegato in questa intervista Rita Lofanovicepresidente dell’agenzia di stampa Agi e già corrispondente dagli Stati Uniti,“in America è fisiologica. Quasi sempre alle elezioni di Midterm il partito del presidente che si trova alla Casa Bianca perde la maggioranza, è successo anche con Trump l’ultima volta”.



Non è detto però che succeda, perché il Senato è diviso esattamente a metà e basta un voto in più per ottenere la maggioranza, mentre alla Camera i democratici hanno attualmente 220 seggi contri i 212 dei repubblicani. Come si vede anche in questo caso la differenza è minima. Quello che è certo, ci ha detto ancora Lofano, è che Biden gode di una popolarità molto bassa (secondo un sondaggio Gallup, il 40% degli adulti americani approva il suo operato rispetto al 57% del febbraio 2021, subito dopo l’insediamento), “tanto che è costretto a giocarsi come possibile carta vincente Barack Obama, che resta il politico democratico più amato e popolare d’America”.



Secondo i sondaggi, il risultato del voto di queste elezioni è estremamente incerto, è così?

Gli ultimi sondaggi prevedono che i repubblicani riconquisteranno il controllo della Camera. E’ un passaggio quasi fisiologico, tradizionale, alle elezioni di midterm. Il partito che esprime il presidente in carica perde la Camera, è successo anche alle ultime elezioni. La maggioranza attuale dei dem è assai risicata e i voti in bilico sono 35, per cui è molto facile vincere per i repubblicani.

Al Senato invece?

Paradossalmente è meno facile per i repubblicani ottenere la maggioranza, però è anche vero che è spaccato a metà, 50 seggi sono dei democratici e 50 dei repubblicani. A fare la differenza in questi casi, secondo la legge, è il vicepresidente Harris, che è anche presidente del Senato e quando la situazione è in parità ha diritto di far valere il suo voto. È questo che ha permesso ai democratici di avere finora la maggioranza. In sostanza, però, le cose per i repubblicani sono messe piuttosto bene, anche se abbiamo visto in passato che ci sono sempre state sorprese, specie dai cosiddetti Stati in bilico.



Quest’anno lo Stato considerato decisivo è la Georgia?

Sì, è lo Stato decisivo. Per molto tempo è stata la Florida a trovarsi in questa posizione, cosa che dopo la vittoria di Trump nel 2020 è cambiata, perché sembra che si sia ormai consolidata come Stato rosso. In Georgia l’ultimo sondaggio dà i due candidati, entrambi afroamericani, appaiati al 48%. Il candidato repubblicano, Walker, un trumpiano doc, ha fatto una campagna elettorale battendo tutti i temi caldi del suo partito, ma è stato anche protagonista di uno scandalo, visto che si dice che abbia fatto abortire due sue fidanzate. Va detto che la Georgia è uno dei pochi Stati dove la legge prevede il ballottaggio se uno dei candidati non arriva al 50%.

A proposito di aborto, è ancora uno dei temi caldi di questa campagna? Ed è vero che diversi democratici abbiano sconsigliato di insistere su questo tema per puntare invece sull’economia?

In realtà, il tema dell’aborto si sta rivelando meno caldo del previsto e in diversi Stati è quasi del tutto ignorato. Ad esempio, in Texas è un tema che non incide. Allo stesso tempo non incide il tema che Biden invece sta usando a tutti spiano.

L’allarme democrazia?

Esatto. Lo stesso governatore della California, che è in corsa per la rielezione, ha criticato Biden dicendogli di occuparsi di economia invece che dell’allarme democrazia. Non è l’unico, ci sono molti altri democratici che dicono la stessa cosa, perché da sempre a detrminare il voto in America è la situazione economica: follow the money.

Le campagne “contro” sono rischiose, lo abbiamo visto anche in Italia…

Vero. Proprio in questi giorni Bezos sul Washington Post ha scritto che Biden e la Harris per il bene del paese non si devono ricandidare. Questo è significativo del clima che aleggia.
La situazione economica potrebbe costare ai democratici la sconfitta?

Sì, anche se in realtà la situazione economica è meno peggio di quello che si dice. A ottobre i nuovi posti di lavoro sono stati 269mila contro i previsti 190mila  il Pil è cresciuto del 2,5%. Eppure gli americani hanno una percezione negativa dell’economia, perché guardano a cose come l’aumento del prezzo della benzina o dei tassi sui mutui.

Il tema della guerra in Ucraina incide in qualche modo? Esponenti di spicco dei repubblicani hanno dichiarato che, in caso di vittoria, finiranno gli aiuti militari a Kiev.

Direi di no. Nel programma del Partito repubblicano ci sono essenzialmente due questioni: la riduzione del sostegno all’Ucraina e la riduzione delle spese, che poi sono due temi collegati. Lo stesso Trump in un comizio ha affermato che, se si continua così, c’è il rischio di una guerra nucleare.

Trump gioca un ruolo importante in queste elezioni?

Sì, il vero snodo di queste elezioni è lui, che potrebbe ufficializzare la sua candidatura alle prossime elezioni. A proposito della guerra, comunque, per gli americani l’unico problema è che fa aumentare il prezzo della benzina. Ma è sempre stato così per le guerre dove non sono coinvolti direttamente: le considerano come qualcosa di lontano e di non influente.

Obama invece? Quanto pesa schierarlo?

Obama resta il democratico più popolare e in coppia con Biden terrà un comizio nel weekend, perché è sempre una mossa molto utile schierare i cavalli di razza a fine campagna elettorale. A livello politico ha il suo peso, si sta spendendo per Biden, anche se va ricordato che proprio Obama sconsigliò Biden di candidarsi nel 2020 per una questione di età. L’anagrafe è la cosa che ha pesato di più sulla sua figura e che gli ha fatto perdere molti consensi per via delle tante gaffe in cui è caduto.

(Paolo Vites)

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