Non ci sono misteri sul perché il candidato governatore piddino dell’Emilia-Romagna, Michele De Pascale, faccia di tutto per tener vivo il “campo largo” tra Piacenza a Rimini mentre a Roma va in pezzi. In primo luogo non vogliono perdere, a qualsiasi costo, la Regione simbolo. Cadesse la sinistra in Emilia-Romagna, morirebbe il Pd e la sua galassia. Sarebbe una svolta paragonabile alla caduta del Muro di Berlino su scala ridotta. Molti soggetti, dal mondo delle coop a quelli ecclesiali, esigono che il “feudo” resti tale e inattaccabile. Non vogliono abbandonare questo lungo medioevo politico.



La lezione storica che ancora sanguina, a sinistra, fu quella di Bologna al tempo di Guazzaloca. Una sinistra divisa e con una candidata non gradita offrirono a Guazzaloca l’impensabile. Vinse – e oggi sappiamo che fu più per demeriti dei compagni – e ne parlarono financo in Giappone e in Arabia. Ergo, mai dividersi a sinistra. Il condimento politico connesso è sempre il solito, invariabile: “attenti alla destra, ai fascisti”. Hanno già patito molte fibrillazioni contro Salvini, cinque anni fa. I sondaggi lo davano realmente vincente in Emilia-Romagna. Avevano analizzato che quel che restava della classe operaia e di gran parte del “proletariato” era passata col leghista. Tutto il funzionariato pubblico regionale e i dirigenti erano letteralmente terrorizzati dal vento padano. Han tirato poi un sospiro di sollievo e han subito scordato, nei toni trionfalistici, il bagno di umiltà di questa congiuntura oramai dimenticata. Giurarono in qualche segreta stanza che ciò non sarebbe mai dovuto ricapitare. E non vogliono ricapiti, anche a costo di alleanze che sappiamo rendono impossibile governare, al punto di non fidarsi di alcun sondaggio.



In secondo luogo l’Emilia-Romagna ha sempre preteso di dare lezioni a Roma. Stefano Bonaccini, ora eurodeputato e a suo tempo imprevedibilmente perdente contro Elly Schlein per la guida del Pd, non ha dimenticato l’onta. E qui deve riuscire quel che a Elly non riesce.

Peraltro c’è da dire che i grillini emiliano-romagnoli sono da tempo ammansiti. Come ammansiti da decenni sono i catto-comunisti e comunque i post Dc aggregatisi a sinistra. Costoro sognano e sperano che Schlein cada, prossimamente. Sanno bene anche loro di avere problemi di coscienza nei confronti di non poche scelte forzate e proclamate dall’attuale segretaria del Pd. Come ne hanno avute anche con Bonaccini, quando ha portato avanti il suo blitz avanguardista sul fine vita, giusto per accreditarsi sull’onda del momento (come fece Matteo Renzi sulle unioni civili). Tuttavia i post-democristiani restano ancorati da quella parte e aggregano anche nuove leve. Qualche cattolico in crisi a sinistra, per la verità, è reperibile. Ma sono un’esigua minoranza, sempre più esigua.



Terranno quindi insieme di tutto di più, col sorriso in pubblico e con altri argomenti in privato. Il Pd emiliano-romagnolo adora mostrarsi “all inclusive”, dalla feste di paese ai salotti buoni dell’alta borghesia, liberale e decisionista, vittimistico e rivoluzionario, con gli immigrati e con la Confindustria, col sorriso di chi la sa sempre lunga, popperianamente infalsificabile perché qualsiasi cosa non funzioni è sempre colpa di altri. Su questo scommette De Pascale. Almeno fino al voto del 17-18 novembre.

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