Sulla gestione del territorio e su quella delle infrastrutture, l’Emilia-Romagna ha bisogno di un cambio di passo, che si realizza solo in un confronto aperto con il governo, mettendo da parte polemiche e scambi di accuse per puntare a definire un piano di lavoro. Su queste due direttrici si muoverà, se eletta, l’amministrazione di centrosinistra di Michele De Pascale, candidato alla presidenza della Regione Emilia-Romagna nelle votazioni del prossimo weekend. Nel programma dell’attuale sindaco e presidente della Provincia di Ravenna anche una riforma della sanità regionale che punti a rivedere le strutture attuali, assegnando un ruolo definito agli ospedali più grandi e a quelli distrettuali. Nella scuola, particolare attenzione alla fascia fino ai sei anni, collaborando anche con le scuole paritarie. Il sostegno della Regione, tuttavia, verrà dato principalmente agli istituti.



L’Emilia-Romagna è stata colpita da una serie di alluvioni da un anno e mezzo a questa parte: cosa è stato fatto finora per risolvere le criticità? Al di là dei singoli interventi, quale strategia deve attuare la Regione per evitare altri dissesti del territorio?

Ci troviamo davanti a un territorio con grandi fragilità intrinseche, in gran parte naturalmente allagato e bonificato dall’uomo in due secoli, e ad eventi che, con buona pace dei negazionisti dei cambiamenti climatici, hanno avuto una violenza e una frequenza inedite. Detto questo, abbiamo bisogno di un cambio di passo radicale in termini di prevenzione. Lo deve fare il Paese e anche l’Emilia-Romagna. Il nostro programma prevede azioni decise sulla manutenzione del territorio, sulla gestione dell’acqua, sulle zone di allagamento programmato, sulle casse di espansione: opere di manutenzione per le quali, negli ultimi 14 anni, in Italia le risorse investite sono state insufficienti.



Come è stata la risposta, però, all’emergenza dell’ultimo anno e mezzo?

È stata profondamente sbagliata, affidata alla speculazione politica, alla propaganda e non alla leale collaborazione. La scelta è stata di un commissario part-time che ha lavorato da Roma, con strumenti legislativi molto modesti: tutta la ricostruzione si è appoggiata agli enti territoriali senza supporto dall’esterno.

Ora cosa serve?

Non ho mai pensato che prima delle regionali si potesse abbandonare il clima da tifo da stadio: chiunque sarà presidente dovrà chiamare la presidente del Consiglio, incontrarla faccia a faccia, senza intermediari, per stringere un patto repubblicano. Se non c’è un cambio di passo radicale nella gestione e nella risposta ai problemi della gestione del territorio, la preoccupazione rimane alta.



Quanto è stato realizzato di quello che doveva essere fatto?

Nelle opere di riparazione sono stati eseguiti più di 500 milioni di lavori, una quantità mai raggiunta prima in 14 anni. Ognuno ha lavorato al massimo della sua potenzialità. Però non dobbiamo riparare ciò che si è rotto, ma rendere più sicuro il territorio: ci sono 600 pagine di piano speciale del commissario che prevedono 4 miliardi e mezzo di nuove opere per la gestione di quantitativi d’acqua totalmente nuovi rispetto al passato. Dobbiamo ripensare il territorio perché si sono verificati eventi nuovi, per cui il territorio stesso non è stato progettato. La Romagna e anche una parte della pianura bolognese sono bonificate; se arrivano fenomeni su larga scala come quelli che si sono verificati, ritornano nella loro configurazione naturale.

La gestione del territorio ha posto il problema dei rapporti con il governo centrale: la nuova legge sull’autonomia differenziata può essere uno strumento più efficace per risolvere i problemi del territorio? L’Emilia-Romagna ha chiesto il referendum abrogativo, ma in passato ha sostenuto la necessità di una maggiore autonomia: perché quella definita ora non va bene?

Su questo sono critico e autocritico: anche l’Emilia aveva avviato un processo di autonomia differenziata e la norma che la prevede è stata scritta dal centrosinistra. Non condivido però la scelta di una maggiore autonomia legislativa, penso che abbiamo bisogno il più possibile di norme omogenee, non di un Paese arlecchino. Io sono un convinto fautore di tutti i principi di sussidiarietà, sia quelli orizzontali che verticali. L’amministrazione più è prossima al cittadino, meglio è. La strada dovrebbe gestirla l’ente più vicino al cittadino, ma con un codice della strada uguale in tutta Italia. Noi abbiamo un sistema per cui a volte i titoli di formazione professionale non valgono in altre regioni. Penso che i titoli debbano essere validi in tutto il Paese, ma ogni regione deve decidere quanti corsi organizzare per un certo indirizzo e quanti per un altro, in base alle necessità regionali. Invece andiamo verso un sistema dove ogni regione fa leggi diversificate. Altro tema è il principio di solidarietà nazionale: siamo la terra del Risorgimento, difendiamo il principio di unità nazionale, ma non pensiamo che il fatto che migliaia di persone del resto d’Italia debbano venire a curarsi in Emilia-Romagna sia un vantaggio, nemmeno per la nostra regione.

Dopo la pandemia si è parlato di una sanità più decentrata, in cui gli ospedali non rimangano l’unico punto di riferimento, ma vengano privilegiate le strutture di base. A che punto siamo in questa trasformazione?

Noi già prima della pandemia avevamo investito sulla riorganizzazione delle cure territoriali. Il modello delle case della comunità, sposato dal PNRR, è molto simile a quello dell’Emilia-Romagna sulle case della salute e sui servizi territoriali. Per noi il dopo-pandemia ha significato spingere ulteriormente sull’acceleratore per andare con ancora più determinazione in quella direzione.

In questo contesto, i CAU, i centri di assistenza e urgenza che ruolo hanno? Funzionano?

I CAU sono una risposta alla difficoltà dei pronto soccorso: viviamo in Italia una crisi enorme di professionisti e professioniste specializzati in emergenza-urgenza e quindi era necessario concentrare tutte le professionalità dove si salvano vite e comunque garantire la copertura nei centri minori. È chiaro che il sistema si è un po’ sovrapposto a quello delle case della salute, per questo inizieremo una grande auto-riforma per costruire una strategia unica. La pandemia ci ha dimostrato quanto è importante avere una rete ospedaliera equilibrata, in cui hanno un ruolo di rilievo gli ospedali distrettuali, quelli intermedi: dal grande ospedale polispecialistico, a quello distrettuale o di montagna, fino ad arrivare alle case della salute e alla medicina territoriale occorre portare le prestazioni il più vicino possibile al cittadino con sicurezza e appropriatezza. Tutte le strutture hanno un ruolo fondamentale.

In termini di infrastrutture, di cosa ha bisogno l’Emilia-Romagna? Non crede che Bologna, per la sua posizione geografica, abbia imposto di fatto alla regione un centralismo penalizzante per le altre città in termini di infrastrutture e non più adeguato? Quali sono le priorità per ferrovie e sistema aeroportuale?

Ci sono due velocità tra ciò che viaggia sull’asse della via Emilia e quello che si discosta da questo asse. Oltre al tema concentrazione su Bologna, abbiamo anche quello relativo a questo asse centrale. Abbiamo bisogno di un nuovo patto con il Governo: le infrastrutture di cui parliamo sono in Emilia, ma non per l’Emilia, in larga parte sono al servizio di tutto il Paese, perché la regione è al centro della maggior parte delle connessioni nord-sud, est-ovest. Abbiamo un piano regionale per le infrastrutture e i trasporti che è scritto in miliardi e finanziamenti statali che, se va bene, sono in milioni. Abbiamo bisogno di un’operazione verità insieme al governo. Anche qui non ha senso fare speculazioni: insieme bisogna decidere le priorità. Poi, il grande investimento della regione nei prossimi anni sarà sul ferro, anche per le merci, in merito alle quali l’intervento è da considerarsi prioritario. Da sindaco di Ravenna, la più grande soddisfazione che ho avuto è di aver sbloccato gli investimenti sul porto; nei prossimi cinque anni, se sarò eletto, l’obiettivo sarà di sbloccare il sistema aeroportuale emiliano-romagnolo, sfruttando la qualità di Bologna e le potenzialità di quantità degli altri tre aeroporti.

La politica del limite di velocità a 30 all’ora adottata da Bologna deve essere estesa anche agli altri centri abitati?

Io da sindaco ho raddoppiato le “zone 30” senza fare una “città 30”. Ogni città, tuttavia, ha il diritto di gestire il traffico come ritiene opportuno. A Lepore va dato merito di aver posto il tema della sicurezza stradale, poco popolare ma necessario. Dopo le vittime sul lavoro, le stragi sulle strade sono un altro elemento intollerabile. L’aggressione che ha subito Lepore dalla destra non ha colto lo spirito della sua proposta.

Uno dei temi di scontro di questa campagna elettorale è quello dell’aborto: la 194 è applicata in tutte le sue parti? Anche in quelle che riguardano la tutela della maternità?

Noi garantiamo l’applicazione della 194, ritengo in tutte le sue parti, ma non siamo arroganti e siamo disposti a valutare proposte che migliorino il servizio, sia in merito all’esigibilità del diritto ad abortire, sia per evitare che una donna che non vuole abortire possa trovarsi costretta per ragioni sociali e economiche a farlo. Un tema che già affrontiamo, là dove è necessario, con i servizi sociali, attivando pure il terzo settore. Siamo contrari alla presenza nei consultori di persone esterne al servizio sanitario regionale, potenzialmente prive di competenze specifiche.

Cosa deve cambiare nella politica regionale riguardo all’istruzione? In particolare, come intendete muovervi nei confronti delle scuole paritarie e della parità scolastica: è possibile pensare a una politica di sostegno delle famiglie che operano questa scelta?

Da sindaco ho sempre lavorato molto bene con l’associazione delle scuole paritarie e in Emilia-Romagna abbiamo un sistema 3-6 anni che raggiunge l’universalità del servizio solo grazie a una grande alleanza tra Stato, comuni e scuole paritarie. Si può fare meglio. Abbiamo un tema legato alle scuole paritarie, soprattutto nelle frazioni decentrate: stanno andando in crisi in luoghi dove sono l’unico presidio come scuola dell’infanzia. Lavoriamo con le scuole paritarie per sostenere maggiormente la fascia 0-3 anni, attivando una serie di sezioni, mentre il sistema 3-6, invece, è totalmente integrato. Su queste sfide applichiamo il principio di sussidiarietà.

Ma c’è una politica di sostegno alle famiglie che scelgono le paritarie?

Sosteniamo direttamente le scuole e, sulla parte nidi, abbiamo strumenti che i Comuni attivano, come i voucher. Nel nostro modello, comunque, sosteniamo le scuole. Siamo laici: abbiamo un dialogo aperto, il nostro tema è che per garantire la copertura al 100% dei 3-6 e per allargare l’offerta 0-3, abbiamo bisogno di un’alleanza con le scuole paritarie e i nidi privati, di tutti i soggetti che, in base al principio di sussidiarietà, concorrono a questo grande obiettivo.

(Paolo Rossetti)

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