La gestione del territorio, la sanità: l’Emilia-Romagna ha bisogno di visione e organizzazione. Quelle che non ha messo in mostra finora. Deve pensare a una rete di infrastrutture che si preoccupi di tutto il territorio e non solo di Bologna, Modena e Reggio. Sono queste le priorità indicate da Elena Ugolini, candidata civica del centrodestra alla presidenza della Regione nelle elezioni del 17 e 18 novembre. Quella di Ugolini è una vita per la scuola: docente nei licei, rettrice delle scuole Malpighi, è stata sottosegretario al Miur e commissario all’Invalsi. Un programma, il suo, che prevede attenzione alle famiglie e un aiuto per esercitare la libertà educativa, anche scegliendo gli istituti paritari. Ecco qual è il suo piano per rilanciare la Regione.
Le alluvioni di quest’ultimo anno e mezzo hanno posto con forza il tema della gestione del territorio: perché molti degli interventi necessari non sono stati realizzati? E quale strategia deve attuare la Regione per evitare altri disastri?
Dobbiamo partire da com’era il territorio nel maggio 2023, quando c’è stata la prima alluvione: i corsi d’acqua erano senza manutenzione da decenni. La pioggia insistente ha trovato fiumi con una portata ridotta al 30-50%, sugli argini tane di animali come tassi, istrici o nutrie, archi dei ponti sui fiumi ostruiti da tronchi o rami, molti arrivati dalle aree interne. Una situazione creatasi in decenni di mancanza di cura e che deriva da una mancata organizzazione della Regione, che ha la responsabilità di gestire fiumi e corsi d’acqua. Inoltre, in moltissimi terreni destinati a parco, togliendo un ramo o un tronco dal letto di un fiume si rischia addirittura un procedimento penale: una cultura ambientalista fondamentalista ha di fatto tolto agli agricoltori la possibilità di avere la cura del territorio.
Quindi il problema è innanzitutto ciò che non è stato fatto prima del 2023?
Nel 2023 in moltissime zone non erano state realizzate opere di governo delle acque: canali, invasi, vasche di laminazione, laghetti per convogliare le acque in montagna o addirittura dighe, la cui costruzione è bloccata da decenni. Dagli inizi degli anni 2000 si era realizzata una mappa dei territori su cui si dovevano costruire tutte queste opere. Nell’estate 2023 e 2024 non si è fatto tutto quello che si poteva fare, anche solo dragare i fiumi. In Val di Zena, quando sono andata a parlare con le persone che avevano avuto per l’ennesima volta la casa distrutta, c’erano ancora esposti striscioni che chiedevano di togliere i tronchi dagli archi dei ponti. Nella quarta alluvione, due sabati fa, l’acqua è arrivata nel centro di Bologna.
Cosa bisogna fare allora?
Occorre istituire una commissione di persone esperte, competenti, che sappiano ridisegnare un sistema di manutenzione ordinaria del territorio e programmare la costruzione a medio e lungo termine delle opere necessarie per governare le acque. C’è stata tutta una polemica sui fondi che non sono arrivati, ma la Corte dei conti pochi giorni fa ha espresso un giudizio di parificazione sul bilancio 2023 della Regione, secondo il quale sono state usate solo il 10% delle risorse disponibili contro il dissesto idrogeologico.
Sulla gestione del territorio, come ha funzionato il rapporto con il governo? La responsabilità dei mancati lavori dell’ultimo anno è della Regione o del commissario Figliuolo?
La Regione ha già nelle sue competenze la manutenzione ordinaria e la gestione del dissesto del territorio. A non aver funzionato è la capacità della Regione di garantirle. Quando De Pascale dice: “Mi voglio prendere tutta la responsabilità in questo campo” mi tremano i polsi, perché c’è bisogno di affidarsi a persone competenti. Tra il 2020 e il 2022 all’assessorato alla Sicurezza del territorio c’era Elly Schlein, che non ha utilizzato oltre 50 milioni di euro di fondi statali. Attualmente, chi sta gestendo questa competenza è la presidente facente funzione Irene Priolo. Il generale Figliuolo doveva gestire la parte di emergenza dopo le alluvioni. Abbiamo un’architettura che deve essere ripensata dal punto di vista degli enti che governano questi aspetti così delicati.
In questo contesto, quali opportunità può offrire l’autonomia differenziata?
Abbiamo già Regioni in cui l’autonomia speciale viene gestita in modo eccellente e altre in cui viene gestita in modo deludente. E già adesso la nostra Regione, su materie importanti come sanità e gestione del territorio, ha amministrato male. Penso che l’autonomia differenziata possa essere una possibilità, ma dipende molto da chi la eserciterà. Ora, però, bisogna chiedersi come sono state usate finora le competenze della Regione.
In tema di sanità, come vi muoverete? Il Covid ha indotto a pensare a una sanità più vicina al territorio: come è stata realizzata? I Centri di assistenza e urgenza (Cau) hanno funzionato?
Vorrei usare le parole di De Pascale, come espressione dell’attuale amministrazione che ha governato per 54 anni. Lui stesso ha cominciato a dire che va rivisto il sistema sanitario regionale. Il primo problema è che ogni giorno si dimette un medico: c’è un malcontento, una demotivazione all’interno dei professionisti del sistema sanitario pubblico che è impressionante. Medici, infermieri e professionisti di tutti gli ambiti sanitari non sono stati coinvolti nel disegno del servizio. Abbiamo un sistema diretto da persone di fiducia del Pd che governano controllando tutto, chiedendo di eseguire dei protocolli. Noi vogliamo mettere al centro le persone, medici, infermieri, tutto il personale, per arrivare alla persona del paziente. Occorre ridisegnare il servizio con chi lo fa e prendere in carico pazienti che non sono più quelli di trent’anni fa: anziani, pazienti cronici, persone sole e altre con problemi psicologici o psichiatrici, che devono essere presi in carico prima che arrivino al pronto soccorso.
Come occorre agire in questo campo?
Va potenziata la medicina generale, i pediatri di base, l’assistenza domiciliare. I CAU sono stati una toppa messa a un vestito vecchio, con uno scopo elettorale. Nessuno, poi, sa quanto siano costati. Ci lavorano molti medici giovani che, anche per paura di sbagliare, dispongono tantissimi esami, gli stessi che magari il medico di medicina generale, conoscendo il paziente, non avrebbe chiesto. È aumentato il numero delle prestazioni. Senza contare che molti di coloro che si sono rivolti al CAU alla fine sono stati indirizzati al pronto soccorso. Bisognava potenziare i medici della medicina d’urgenza, del pronto soccorso e la rete della medicina territoriale.
Quali altre linee di intervento avete in mente sulla sanità?
Tra ospedali dei grandi centri e quelli periferici occorre costruire una rete in modo da non intasare le strutture più grandi, anche nel pronto soccorso. Manca visione, organizzazione e valorizzazione della competenza. La Corte dei conti, inoltre, ha evidenziato un disavanzo di centinaia di milioni di euro, coperti con risorse fortuite e occasionali. Vuol dire che siamo sull’orlo del default: nel 2024 la spesa medica è aumentata senza controllo. Il Veneto, nello stesso anno, con gli stessi abitanti e gli stessi finanziamenti, ha chiuso il bilancio in pareggio. E non ha risultati molto diversi da quelli dell’Emilia-Romagna.
Sulle infrastrutture, come intende intervenire? La Regione si è sviluppata in modo troppo Bologna-centrico?
Abbiamo ampi margini di miglioramento, ci sono strutture pensate anche 40 anni fa che non sono state realizzate: la Cispadana, la Tirreno-Brennero, la bretella Sassuolo-Campogalliano, l’ampliamento della Romea, i collegamenti con il porto di Ravenna e la fluidificazione del nodo intorno a Bologna. Mancano anche qui visione e metodo: ci sono territori, cittadini e mondi produttivi considerati di serie A e altri di serie B. L’attenzione è tutta centrata su Bologna, Modena e Reggio-Emilia e neanche con risultati così buoni.
Sull’idea di Bologna di realizzare una città che va a 30 all’ora, invece, cosa pensa?
È una soluzione ideologica, giusta dove ci sono ospedali, scuole, piccole strade del centro, ma non dove serve un traffico più scorrevole. Sono la prima firmataria di un referendum contro “Bologna città 30”.
Uno dei temi della campagna elettorale è stato anche quello dell’aborto e dell’applicazione della relativa legge.
Penso che la 194 debba essere applicata in tutte le sue parti e che un governo regionale che con un atto amministrativo introduce la pillola abortiva e l’aborto farmacologico a casa sia poco rispettoso di temi così importanti.
Sulla base della vostra concezione della scuola e della famiglia, come intendete considerare le scuole paritarie nel sistema regionale?
In Regione ci si è concentrati sui nidi, non c’è mai stata una politica per aiutare le famiglie a scegliere la scuola nel sistema paritario. È accaduto anche per la disabilità. Il Veneto ha finanziato insegnanti di sostegno per chi frequenta la scuola paritaria a livello di medie e superiori, da noi questa attenzione non c’è mai stata. Sulla scuola vogliamo intervenire con politiche che aiutino le famiglie a esercitare il diritto di libertà di scelta educativa, in un sistema in cui ci sono anche le scuole paritarie. Così faremo per la disabilità. Inoltre, vogliamo superare la legge Bassi, che ha impedito di costruire un canale forte di formazione professionale. Dal 2003 alla fine delle medie non ci si può iscrivere ai percorsi triennali di istruzione e formazione professionale, ma ci vuole un primo anno di scuola superiore quinquennale. Dopo di che, basta la bocciatura per iscriversi alla formazione professionale, contando il primo anno frequentato altrove. Vogliamo utilizzare la riforma Valditara per realizzare percorsi triennali e quadriennali che danno accesso agli ITS.
Una ultima domanda, più personale. La sua è una candidatura civica, ma il ruolo è politico. Perché questa sua scelta di candidarsi?
Perché mi sono chiesta se la nostra Regione avesse realmente a cuore gli abitanti di questa terra, e la risposta è stata “no”. Perché mi sono chiesta se è normale diventare più poveri se si fa un figlio o se bisogna curare un anziano o se si ha in casa un disabile, e la risposta è stata “no”. Perché mi son chiesta se fa bene alla nostra Regione e al suo futuro avere la stessa mentalità politica e culturale da oltre cinquant’anni al potere, e mi sono risposta chiaramente di no.
(Paolo Rossetti)
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