Gentile direttore,
a pochi giorni dalla chiusura della campagna elettorale per le elezioni regionali in Emilia Romagna ben poco è cambiato nei toni e nei contenuti (pochi) rispetto all’inizio.
Per chi vive e opera in questo territorio sembra di essere spettatori a dei “ludi gladiatorii” tanto questa campagna elettorale è stata caricata di significati che nulla hanno a che fare con la quotidianità dell’agire e del costruire. Il tentativo di ridurre l’espressione popolare ad un referendum contro il governo centrale tralasciando un paragone e confronto serio (veramente politico) sui bisogni e le esigenze del vivere in questa Regione, sinceramente è sintomatico dei tempi che viviamo nei quali “l’uomo solo al comando” che parla “alla pancia” dell’elettorato sarebbe risolutivo di tutto.
Come se bastasse questo per, non dico risolvere, ma affrontare i problemi.
Lo sanno bene quelle persone e aggregazioni di persone che ogni giorno, lontano da telecamere o sondaggi, lavorano e si impegnano (anche gratuitamente) per i bisogni propri e altrui, costruiscono piccole e magari fragili realtà nelle quali si ritrovi la dignità del lavoro, dell’accoglienza, del vivere.
Lo sanno bene quegli imprenditori, artigiani, agricoltori o cooperatori (patrimonio di questa terra) che ogni giorno affrontano l’intrapresa del mercato, del commercio e delle relazioni.
Lo sanno bene i Vescovi di questa regione. La loro “Nota in preparazione alle elezioni regionali in Emilia-Romagna” costituisce la vera novità (una delle poche) della campagna elettorale. Tralascio la banalità del tentativo di ridurre questa nota a “da che parte stanno”: la novità è nel metodo e nel contenuto. Nel metodo perché è evidente, anche nell’uso del linguaggio, che si rivolgono a tutti, agli uomini di buona volontà; e nel contenuto, mai così attuale e concreto come in questa occasione, intercettando i reali bisogni e necessità del popolo emiliano-romagnolo.
Nello specifico poi, il documento dei Vescovi declina alcuni punti derivanti dalla dottrina sociale della Chiesa, che possono essere termine di confronto e paragone nella scelta fra candidati e proposte politiche: dalla sussidiarietà (un modello di welfare sussidiario assai cresciuto in questi anni in Regione) alla tutela della vita, dalla coesione e aiuto ai poveri allo sviluppo della persona e della comunità.
Nei momenti più critici del nostro Paese ci sono stati uomini e donne, appartenenti a culture e aggregazioni anche ideologicamente diverse, che hanno saputo cercare e costruire per un “bene comune”. Non è un caso che questa nota dei vescovi emiliano-romagnoli richiami, indichi, solleciti che “la Democrazia nel nostro Paese, che si realizza nei cammini e nelle scelte anche regionali, non venga umiliata e disattesa e i principi costituzionali ritrovino nelle nostre terre forme rinnovate di espressione e persone, delle diverse appartenenze politiche, impegnate a salvaguardarli, sempre”.
È vero che tanti indicatori socioeconomici ci forniscono un quadro nazionale poco rassicurante del presente e del futuro prossimo, ma non credo che questa sia “l’ultima parola”. Non ho elementi macroeconomici o analisi sociologiche a sostegno.
Ciò che vedo o intravedo nel piccolo orizzonte nel quale vivo ed opero sono persone che amano il proprio lavoro, amministratori (senza stipendio politico) che danno tempo, energie e fatica per i bisogni della comunità locale, che il tanto vituperato volontariato supplisce egregiamente ai tagli alle spese degli enti locali, che c’è ancora volontà di dialogo e incontro fra soggetti per storie o religioni diverse, che ci sono candidati locali che possono dare voce a questo perché sono “di noi”, come noi.
È poco questo? È solo una goccia di speranza nel mare dell’indifferenza o rassegnazione? Non credo. A ciascuno il suo compito.