La campagna elettorale per il rinnovo degli organi della Regione Emilia-Romagna non è ancora iniziata ufficialmente, ma già il clima si sta surriscaldando. Oggetto del più recente scontro è stata la sanità che, come noto, è la materia più importante fra quelle gestite dalle Regioni e assorbe circa l’80% dei loro bilanci.



A innescare la polemica alcune frasi pronunciate dal presidente uscente Bonaccini dal palco di un dibattito organizzato da Cgil, Cisl e Uil, il quale, rispondendo ad una affermazione della sfidante Borgonzoni, per la quale, in caso di vittoria, il “faro” per la gestione del comparto sanitario sarà il modello lombardo, se ne è uscito con delle parole che hanno dell’inverosimile: “Finché ci siamo noi, il modello lombardo no! … La centralità della sanità sarà pubblica, perché uno povero deve essere curato allo stesso modo di un ricco”.



Insinuare che in Lombardia un povero non abbia accesso alle cure come un ricco, a causa del modello sanitario lombardo, può avere solo due spiegazioni (non volendo neppure pensare che si tratti di semplice ignoranza di come stanno le cose): la prima è che in Bonaccini, quando cade la maschera “liberale” che indossa per compiacere soprattutto il ceto produttivo, scatta la coazione a mentire, tipica di chi ha sorbito il leninismo insieme al latte materno; la seconda è che abbia perso la testa perché sente di essere zavorrato, nella sua corsa alla riconferma, dall’abbraccio mortale del governo giallo-rosso, che sopravvive e può continuare a far danni grazie ai voti del partito dello stesso Bonaccini.



Ritenendo di conoscere abbastanza bene il cosiddetto modello lombardo della sanità, posso affermare senza timore di smentita che la qualità del sistema sanitario lombardo non ha eguali in Italia e che in quella Regione è consentito a tutti i cittadini, poveri e ricchi, di farsi curare liberamente in qualunque struttura, pubblica o privata, essi desiderino. La parificazione delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate non ha tolto ovviamente all’ente pubblico la responsabilità della programmazione dell’offerta sanitaria e del controllo sulla qualità delle prestazioni, ma ha aperto le porte di strutture private di assoluta eccellenza, cui potevano accedere a pagamento solo i benestanti, a qualunque cittadino, senza alcun costo aggiuntivo rispetto a quello sostenuto in strutture pubbliche.

Ma l’aspetto che differenzia di più il modello lombardo da quello emiliano-romagnolo lo si evince proprio dalle parole di Bonaccini: “La centralità della sanità sarà pubblica”: in questa affermazione è sintetizzato il pensiero, tipicamente statalista, per cui “pubblico” è solo ciò che è gestito direttamente dallo Stato, dalla Regione o dal Comune, mentre il punto di partenza teorico del modello lombardo, che vale per la sanità come per la scuola e, in generale, per tutti i servizi alla persona, è che “pubblico” è ogni servizio orientato a rispondere ai bisogni del cittadino, indipendentemente dal soggetto che lo gestisce, sia esso lo Stato, il privato o un soggetto del cosiddetto “privato sociale”.

Da questo “pregiudizio statalista”, che informa tutta la politica emiliano-romagnola, discende come inevitabile conseguenza una sorta di sussidiarietà rovesciata, per cui tutto ciò che non è sotto il controllo diretto dell’ente pubblico non è visto come un valore in sé, una risorsa da valorizzare e far crescere, bensì come una sorta di paracadute sociale, a cui rivolgersi solo quando il “pubblico” non riesce a dare risposte adeguate ai bisogni del cittadino. La centralità del pubblico auspicata da Bonaccini, a mio parere, non dovrebbe esplicitarsi in una sorta di sleale concorrenza del pubblico contro il privato di mercato o il privato sociale, ma nell’assicurare una rete integrata di servizi di qualità, che rispondano alla domanda di salute senza inconcepibili tempi di attesa, e dei controlli seri per evitare abusi o sprechi di risorse.

Portare il confronto su questi temi sul piano squisitamente ideologico, come ha fatto il presidente Bonaccini, non serve assolutamente a niente (spero che il centrodestra non lo segua in questa direzione) ed è assolutamente fuorviante rispetto ai veri problemi della sanità pubblica e, soprattutto, alla necessità di continuare a garantire un’alta qualità di servizi nel contesto delle gravi difficoltà finanziarie in cui versa il bilancio dello Stato. Tra l’altro Bonaccini non può non sapere che la differenza sostanziale fra i due modelli di sanità a cui ha fatto riferimento, nella realtà si sta molto riducendo, perché ci sono stati interventi legislativi dello Stato che hanno messo un freno alla possibilità di dar vita ad un sistema sanitario veramente integrato, in cui il cittadino possa liberamente scegliere dove e da chi farsi curare, senza sottostare ai diktat politico-burocratici. Infatti il decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito nella legge 7 agosto 2012 n. 135, recante “ Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” (meglio noto come “legge spending-review Monti”) ha disposto il blocco delle prestazioni sanitarie dei soggetti privati accreditati per attività di ricovero e specialistica, fissando le risorse sulla base della spesa consuntiva del 2011 diminuita del 2%.

Il mio parere è che le Regioni e lo Stato dovrebbero mettersi attorno a un tavolo e molto “laicamente”, cioè senza furori ideologici, vedere quale sia il modello sanitario che meglio risponda a tre esigenze ugualmente fondamentali: 1) che vengano erogati servizi di qualità in tempi ragionevoli, valorizzando tutte le migliori risorse pubbliche e private presenti sul territorio; 2) che il cittadino possa scegliere liberamente da chi farsi curare; 3) che le risorse finanziarie siano utilizzate in modo efficiente e senza sprechi.

Per la mia esperienza, mi sembra di poter affermare che il modello lombardo, che ha lasciato molto più spazio alle strutture private accreditate, non solo abbia portato notevoli frutti sul piano qualitativo, ma si sia dimostrato a livello nazionale il più efficiente sul piano dell’utilizzo delle risorse finanziarie. È significativo, infatti, che la Lombardia, quando lo Stato fu costretto ad emanare il decreto legge dell’ 8 aprile 2013, n. 35 “ Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali”, non fece uso di queste risorse perché non aveva alcun debito scaduto verso i fornitori, mentre l’Emilia-Romagna, che aveva circa 1 miliardo e 500 milioni di debiti, dovette fare ricorso ad un prestito di circa un miliardo, che grava per 50 milioni ogni anno sul bilancio regionale, riducendo la capacità di far fronte ad altre esigenze.

Presidente Bonaccini, nessuno nega che anche il sistema sanitario emiliano-romagnolo sia fra i primi del nostro Paese, ma per affermare questo non c’è bisogno di denigrare, con affermazioni false, altre esperienze che sono il fiore all’occhiello della sanità italiana e ai vertici della sanità europea.