Intervenendo ad un talk show televisivo, il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha recentemente spiegato il “mistero” della scomparsa del simbolo del Pd dai suoi manifesti elettorali. Non si tratterebbe di un tentativo di mimetizzazione, come malignamente insinuato dai suoi avversari, ma l’affermazione “visiva” della sua apertura ad una pluralità di forze politiche e sociali, soprattutto quelle espressione di una sensibilità ecologista. Mi sembra una spiegazione abbastanza convincente e che conferma che il nostro presidente è un piddino a 24 carati, per cui non può non muoversi secondo modalità che ha inesorabilmente assimilato dal partito di cui, non a caso, è stato segretario regionale.



Del Pd, infatti, conosciamo la capacità di cavalcare tutti gli “ismi” possibili, nella speranza di guadagnare consenso: giustizialismo, globalismo, immigrazionismo, femminismo, europeismo, ambientalismo…. Ora è il momento del civismo, del gretismo, del sardinismo ed ecco che Bonaccini magicamente si trasforma da “apparatčik” ad espressione di quei gruppi che riescono, contrariamente al Pd, a riempire le piazze.



Il civismo politico, al contrario, intende esprimere un’alternativa al sistema partitocentrico, che trova proprio nel Pd emiliano-romagnolo la sua massima espressione.

D’altra parte, è comprensibile che Bonaccini, vista la condizione disastrata del suo partito e del governo da esso sostenuto, cerchi in tutti i modi di far dimenticare la sua storia di “funzionario” di quel partito e di personalizzare la sua campagna elettorale, cercando di ricondurla ad una sorta di referendum sulla sua persona, convinto, in questo modo, di poter surclassare la rivale, sostenuta dal centrodestra. Ripetendo ossessivamente in tutti i suoi interventi i primati dell’Emilia-Romagna come adeguata giustificazione della sua riconferma, rischia di dare di sé l’immagine di “uomo della Provvidenza”, senza il quale questa Regione sarebbe condannata a regredire sul piano economico e sociale. La verità è che, fortunatamente, questi primati dipendono in grandissima parte dal dinamismo e dalla creatività di tanti bravi imprenditori, che riescono a competere con aziende di altre aree europee, che trovano un contesto istituzionale più favorevole.



Mi ha impressionato che alla domanda di una giornalista su quali errori avesse fatto alla guida della Regione, Bonaccini non abbia trovato altro da dire se non la chiusura di tre punti nascita di piccoli ospedali (sic), attribuendone, peraltro, la responsabilità a dei parametri quali-quantitativi decisi dal governo Berlusconi.

Forse all’“uomo della Provvidenza” sarebbe necessario qualche integratore che aiuti la sua memoria: così forse ricorderebbe, ad esempio, che la sua Regione, fra quelle più avanzate (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana) è quella con le aliquote di addizionale Irpef più alte; che per rispettare i tempi di pagamento in sanità ha dovuto chiedere un prestito miliardario che pesa per più di 50 milioni all’anno sul bilancio; che le spese in conto capitale sono solo di 88 euro per abitante, contro i 119 della Lombardia e i 132 del Veneto; che ci sono liste d’attesa lunghissime per ricoverare anziani non autosufficienti in Rsa; che la quota di risorse per investimenti tra il 2008 e il 2017 è passata dal 7,3% al 3,6%; che la Romagna soffre per carenze di infrastrutture e che l’amministrazione da lui guidata non è riuscita ad impedire che la realizzazione della E55, già deliberata dal Cipe nel 2013, “scomparisse” nel 2015 ad opera del duo Renzi-Delrio; che altre Regioni (es. la Lombardia), per venire incontro a famiglie ed imprese, hanno eliminato l’accisa regionale sul gas metano (Arisgam), mentre in Emilia-Romagna si paga ancora…

Credo che per essere un buon amministratore non sia necessario essere o dipingersi come un superuomo che titanicamente, novello Atlante, regge su di sé il peso del mondo (in questo caso, della Regione), ma avere una cultura di governo moderna ed aperta, capacità di saper valorizzare le potenzialità presenti nella società, senza strumentalizzazioni e condizionamenti ideologici, e approntare una buona squadra di amministratori (a proposito, non ho mai sentito Bonaccini valorizzare l’operato dei suoi assessori, come se la Giunta fosse un organo monocratico), perché amministrare la cosa pubblica oggi è una sfida troppo gravosa per una persona sola, anche se “superdotata” come il presidente Bonaccini.