Recuperare le radici cristiane; difendere la centralità della persona, della famiglia e dell’impresa; puntare con forza su una difesa comune e sugli Stati Uniti d’Europa; garantire alla Ue un ruolo guida sui temi dell’ambiente e del climate change: sono i punti programmatici alla base dell’impegno di Paolo Alli, presidente nazionale di Alternativa Popolare e candidato capolista alle Elezioni Europee 2019 per il collegio Nord-Ovest per la lista Alternativa popolare-Popolo della famiglia. “Le elezioni europee – spiega – sono per me un’occasione per rilanciare e riposizionare Alternativa popolare. In questo progetto ho cercato anche dei compagni di viaggio e li ho trovati nel Popolo della famiglia di Mario Adinolfi. Siamo due partiti piccoli, ma con la volontà di continuare il percorso fatto: anche se proveniamo da due strade molto diverse, condividiamo i valori comuni del popolarismo di don Sturzo e De Gasperi, che oggi a livello europeo sono incarnati nell’esperienza del Ppe, il cui simbolo è presente nella nostra lista”.



Quindi la nuova sfida si giocherà innanzitutto in Europa, un’Europa che – a detta di molti – ha bisogno di un rilancio. Qual è la sua idea di Europa dei popoli ma non populista?

Vogliamo partire dal recupero delle nostre radici comuni giudaico-cristiane, affermate anche nel manifesto del Partito popolare europeo, che abbiamo sposato con grande entusiasmo. Perché sono proprio queste radici che hanno creato un modello di sviluppo e di economia unico al mondo. Il welfare universalistico che la cultura cristiana e comunitaria dell’Europa ha costruito è molto diverso dal capitalismo individualista degli Stati Uniti e dal collettivismo cinese, che è un po’ la riedizione in forme di soft power di quello sovietico. E’ un modello che dobbiamo difendere. Per questo è necessario che l’Europa si rafforzi politicamente.



Perché?

L’Europa ha una convenienza a stare insieme, innanzitutto, di tipo economico – abbiamo il primo Pil a livello mondiale, superiore anche a quello Usa, ed è questa la ragione per cui Trump ha interesse a dividere la Ue -, ma ha anche il dovere di difendere i confini comuni, quella Comunità europea della difesa di cui si è finalmente tornati a parlare e che era già il sogno incompiuto di De Gasperi.

Ultimamente, però, i cittadini europei sentono la Ue lontana, a volte addirittura ostile. Come si può colmare questa distanza, questa disaffezione?

Una parte dell’attuale disaffezione risiede nel fatto che ormai noi europei diamo per scontate una serie di cose che in realtà sono state conquistate a costo anche di tante vive umane spese: l’Europa ci ha dato il più lungo periodo di pace della sua storia; l’Europa ci ha dato la libertà di movimento delle persone e delle merci; l’Europa ci ha dato un’Unione monetaria che non è ancora economica, ma va in quella direzione. Ci sono aspetti positivi che noi sottovalutiamo perché li diamo per scontati, ma tali non sono, soprattutto di fronte alle sfide che vengono da Est e da Ovest. Quindi, il primo punto è: bisogna risollevare nei cittadini europei la stima per quello che in Europa già c’è. Discorso diverso, invece, per le istituzioni europee.



In questo campo errori ne sono stati fatti, non crede?

E’ netta la distinzione tra fiducia nelle istituzioni e fiducia nell’Europa. Alla gran parte degli europei, italiani compresi, non passa certo per la testa l’idea di uscire dall’Europa, che viene vissuta ormai come la casa comune. Molti invece pensano, e in larga misura a ragione, che le istituzioni attuali non rispondano più a questa esigenza. Per essere più vicine ai cittadini qui c’è tantissimo da fare.

Che cosa, secondo lei, sarebbe utile o necessario?

In primo luogo, dobbiamo arrivare ad avere come rappresentanti delle istituzioni europee i numeri uno e non le seconde o terze file. E poi Unione europea, Parlamento europeo, Commissione Ue devono sburocratizzarsi e preoccuparsi molto di più di affermare nel concreto i princìpi che sono alla base dei Trattati europei.

Faccia un esempio.

Prenda la solidarietà: o lo è sempre o non lo è mai, un po’ come la libertà. Per cui, per esempio, se i popoli europei non sono solidali tra loro sull’immigrazione, vuol dire che è veramente lontana l’unione politica che sognavano i padri fondatori. Credo, comunque, che non siamo lontanissimi come coscienza comune dal fatto che sull’immigrazione si debbano adottare politiche unitarie, perché l’immigrazione è un fenomeno globale, non sporadico. Essere solidali sull’immigrazione vuol dire redistribuire i migranti, fare una politica dei rimpatri, rivedere i trattati. Servono in Europa persone che si impegnino su questi punti.

Lei accennava all’unione politica dell’Europa. Ma, viste le profonde differenze e diffidenze tra Nord e Sud del continente e alla luce degli egoismi nazionali sempre più forti, è un obiettivo realizzabile nella nuova legislatura che si aprirà dopo il voto del 26 maggio?

L’unione politica è un obiettivo sempre più indispensabile, proprio a causa dell’avanzare dei blocchi, americano e cinese, tra loro contrapposti. Gli Usa di Trump vorrebbero lo smantellamento delle istituzioni europee per avere maggiori spazi di manovra nei rapporti bilaterali, mentre la Cina con il progetto della Nuova Via della seta mira all’annessione economica di ogni Paese che viene attraversato da questa grande infrastruttura. Quindi l’Europa deve per forza raggiungere il traguardo dell’unione politica. E’ una necessità evidente, anche perché solo così si può fare una politica internazionale comune.

E’ per questo motivo che è così importante il tema della difesa comune?

Come diceva De Gasperi: se noi condividiamo la difesa dei nostri confini, vuol dire che pensiamo che ciò sta al loro interno è una cosa sola, gli Stati Uniti d’Europa. E non è solo un discorso utilitaristico, legato a un miglior efficientamento della spesa.

Al centro del suo programma figurano la famiglia e le imprese. Perché? E come l’Europa può concretamente aiutarle?

La centralità della famiglia come nucleo fondante della società discende dalla centralità della persona, che è propria della visione cristiana del mondo. Per la famiglia l’Europa deve essere più coraggiosa nell’individuare delle linee guide da inserire nelle proprie risoluzioni, che devono essere applicate non a macchia di leopardo, come oggi, ma universalizzate, pretendendo che i vari Stati le adottino: sostegno forte alla natalità, con strumenti come il Reddito di maternità che proprio il Popolo della famiglia ha lanciato raccogliendo 60mila firme; quoziente famigliare; politiche per la conciliazione famiglia-lavoro; aiuti a chi in famiglia tiene in casa anziani e persone malate.

E per le imprese?

Occorre difendere la centralità dell’impresa come luogo dove si crea il lavoro, una concezione che sta alla base dell’economia sociale di mercato e, in fondo, della stessa Dottrina sociale della Chiesa, il che significa riconoscere la libera iniziativa e la necessità di una solidarietà. Su questo fronte la Ue ha già realizzato parecchi interventi, ora si tratta di intensificare incentivi o politiche a favore della ricerca e dell’innovazione, che sono sempre più fondamentali. Bisogna premiare chi innova e chi crea posti di lavoro, anche con strumenti nuovi, alleggerendo l’impatto burocratico e fiscale che grava sulle imprese. Anche in questo ambito, viste le profonde differenze tra i vari Paesi, l’Europa deve essere più decisa.

Altri temi forti?

Innanzitutto, l’ambiente. L’Europa ha già fatto molto. Basti pensare al fatto che senza la sollecitazione dell’Europa, in materia di qualità dell’aria, dell’acqua e della gestione dei rifiuti, l’Italia sarebbe oggi in condizioni ben peggiori. Ora si tratta di continuare a giocare questa partita con maggiore intensità. Servono politiche comuni, ma alzando l’asticella. Sul fronte del climate change, per esempio, a fronte delle posizioni defilate o deficitarie di Usa, Cina e India, l’Europa deve assumere un ruolo di leadership mondiale, proponendo anche best practice. E un altro tema che mi sta molto a cuore è l’alimentazione sana.

In che senso?

In Europa, dove già si producono i migliori cibi del mondo dal punto di vista della qualità e dei controlli, i prodotti biologici sono penalizzati, perché costano troppo. L’Unione europea, in ottica sussidiaria, dovrebbe detassare i prodotti agricoli bio per spingere il sistema agricolo europeo verso queste coltivazioni.

Lei si rivolge ai moderati. Ma non le pare che oggi prevalgano posizioni dure e intransigenti?

La gran parte degli italiani sono moderati e avverto un sempre maggior fastidio verso i toni forti e la litigiosità. Gli italiani sono arrivati a questi estremismi perché stanchi e sfibrati, dopo la crisi finanziaria del 2008 che non si è ancora chiusa. E speravano che l’uomo forte potesse risolvere tutti i loro problemi. Ma il mito dell’uomo forte, come già successo in altri periodi storici, ha mostrato dove conduce…

Crede quindi che il moderatismo italiano avrà ancora un ruolo decisivo?

Sì. Il problema per i moderati è che l’attuale offerta politica è desolante. Il Pd è sempre più spostato su posizioni di sinistra, quindi non c’è spazio per chi fa riferimento al popolarismo europeo, mentre nel centrodestra, tradizionale contenitore e rifugio dei moderati italiani, si assiste a una polarizzazione sulle posizioni di Lega e Fratelli d’Italia con il contemporaneo e drammatico decadimento di Forza Italia. Ecco perché proviamo a proporre un’esperienza di centro: non è una questione di equidistanza, ma un esplicito riferimento al Partito popolare europeo come luogo in cui si affermano i valori dei moderati.

Con l’Europa si tratta cercando il dialogo o battendo i pugni sul tavolo per far valere le ragioni dell’Italia?

Dobbiamo essere sì molto determinati,  ma gli interessi dell’Italia non si difendono contro gli interessi degli altri, ma assieme agli interessi degli altri, quindi dialogando. Non si possono insultare i partner europei, e poi quando ci si siede al tavolo delle trattative pretendere che ci diano spazio.

Le elezioni del 26 maggio, secondo lei, saranno un referendum sull’Europa?

Più che un referendum sull’Unione europea il voto del 26 maggio sarà un referendum sullo stato della politica italiana. In questa campagna elettorale si è parlato di tutto, tranne che di Europa. E’ importante, quindi, andare a votare, soprattutto per coloro che non si riconoscono nell’attuale offerta politica: è sbagliato restare a casa, bisogna fare esattamente il contrario, premiando chi oggi cerca di smorzare i toni e le polemiche.

(Marco Biscella)