L’allarme Ue sulla libertà di stampa in Italia è non più di un petardo elettoralistico, lanciato a orologeria dall’inconsistente commissaria “alla trasparenza”, l’oscura ceca Vera Jourová, che sta vuotando i cassetti perché da lunedì l’Europa avrà un nuovo parlamento eletto e fra un mese una nuova Commissione a Bruxelles. Qualche brandello di impegno politico è forse rinvenibile nella tessera della Jourová (liberale come Emmanuel Macron e Margrethe Vestager, la “zarina” uscente dell’Antitrust, fino agli ultimi giorni nemica giurata di Roma); e nella sua nazionalità (la Repubblica Ceca confina con l’Ungheria mediaticamente “illiberale” e politicamente vicina al governo italiano di centrodestra).
È tuttavia curioso che Jourová abbia fatto parte anche della precedente Commissione, guidata da Jean-Claude Juncker: quella che – cinque anni fa, a cavallo del voto europeo – aveva lanciato contro l’Italia un vero e proprio missile. Appena dieci giorni dopo le elezioni – che in Italia avevano visto la netta affermazione della Lega – la Commissione rimasta in carica per gli affari correnti aveva aperto contro Roma un’inopinata procedura d’infrazione per debito eccessivo. Firmatario era, puntualmente, un commissario “satellite” della tecnocrazia franco-tedesca Ue, il lettone Valdis Dombrovskis.
Fu lui a cancellare l’infrazione – altrettanto a orologeria – non appena il rinnovo della Commissione Ue maturò (anche) il veloce “ribaltone” italiano che espulse la Lega dalla maggioranza e vi fece rientrare il Pd. Ma non prima che un altro “euro-drone” colpisse personalmente il vicepremier italiano Matteo Salvini, con l’assalto armato a Lampedusa da parte della “capitana Carola”. Come Hamas a Gaza, l’attacco era verosimilmente in preparazione da un anno, ossia dalla nascita a Roma del governo M5s-Lega. Già nel 2018 era stato lo stesso Juncker a sollevare le preoccupazioni Ue per i “diritti umani” dei migranti africani in Italia (non lo aveva mai fatto per la chiusura militare delle frontiere esterne di Spagna, Grecia, Malta).
Tutto questo annotato, c’è da chiedersi se un’inchiesta indipendente sullo stato del sistema mediatico in Italia non sarebbe alla fine opportuna. Può darsi che vi trovi spazio l’attivismo recente del gruppo Angelucci, che è divenuto proprietario di tre quotidiani nazionali non ad alta tiratura e vorrebbe rilevare un’agenzia di stampa minore. Ma difficilmente potrebbe ignorare una regulation del sistema televisivo che da 34 anni vede protagonisti quasi esclusivi lo Stato e la famiglia di un tycoon recentemente scomparso, dopo essere stato leader politico di primo piano, per tre volte premier. Un ordinamento che l’Europa ha ripetutamente chiesto di modernizzare ( “democratizzare”). E che dire dei principali quotidiani nazionali, nessuno facente capo a editori puri quanto invece sotto il controllo diretto o indiretto della prima famiglia storica del capitalismo italiano, di altri magnati industriali o di grandi banche?
Forse sulla libertà di stampa in Italia sarebbe perfino opportuna un’inchiesta parlamentare. E a lanciarla dovrebbe essere il centrosinistra. Ma i precedenti – la commissione sulle banche e quella dei fenomeni di odio – non sono affatto incoraggianti.
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