Le elezioni europee rivestono una fondamentale importanza, non solo perché finalmente l’elettorato ha la possibilità di poter giudicare un organismo tanto discusso nella sua funzione negli ultimi anni, ma anche perché il suffragio deciderà quali politiche la cosiddetta Unione europea dovrà adottare nella geopolitica mondiale.



Tra queste riveste una particolare importanza la visione del futuro nelle relazioni sia politiche che economiche con un’America Latina che sta “lentamente” emergendo dall’isolamento anche mediatico e nella quale finalmente si è iniziato a pensare un rapporto più maturo e costruttivo con il Vecchio continente. Ho virgolettato l’espressione lentamente perché in effetti alcune potenze da anni stanno lavorando profondamente sui due “continenti scomparsi” (ci includo l’Africa ovviamente) e hanno già messo non solo i piedi ma tutta la loro energia per conquistarli e sottometterli.



L’Europa arriva, quindi, con grande ritardo per la semplice ragione che ha capito solo ora l’importanza della questione, ampiamente anticipata (parlo di decenni fa) proprio da due personaggi politici italiani grandissimi come Enrico Mattei e Amintore Fanfani, che nelle loro politiche avevano iniziato a intavolare relazioni sempre più profonde con questi due angoli del mondo, poi interrotte dalla totale involuzione di una politica che pare, nella sua visione globale, essere tornata al secolo scorso (ma pure prima) nella sua ignoranza geopolitica.

Cina e Russia ormai dominano e decidono in pratica sia le scelte politiche che gli sviluppi economici, manovrando anche il loro sviluppo: l’Africa ormai è già un loro feudo e l’America latina si sta trasformando molto velocemente; ma è ancora passibile di cambi importanti, sempre che si usi lo strumento dell’intelligenza invece che quello delle filosofie “costruite ad arte”.



Da circa un quinquennio si stanno stabilendo accordi tra Ue e diversi Paesi latinoamericani di collaborazione e anche scambio economico: ma alla fine quasi tutto rimane sulla carta e si passa da sviluppi sporadici a rallentamenti clamorosi dovuti proprio all’essenza di un’Ue che, lo ripeterò fino alla noia, più che una Federazione di Stati con politiche comuni pare un’assemblea di condominio dove ogni “inquilino” fa i cavoli propri e li impone agli altri.

Insomma, si rivela la grande debolezza di un’Istituzione ancora da costruire e che il grande Gino Bartali da lassù bollerebbe con il suo mitico “Je tutto da rifare”, con il quale concorderebbero tutti i componenti che nel 1943 editarono il famoso “Manifesto di Ventotene” che gli fanno compagnia nel Regno dei Cieli.

Che il Sudamerica sia ricchissimo a livello energetico e minerario lo sapeva pure Cristoforo Colombo, ma von der Leyen & Co. non riescono proprio a mettersi d’accordo su che fare da grandi, perché in teoria vorrebbero applicare un bilateralismo assolutamente giusto, ma poi in pratica, lo ripetiamo, ogni nazione Ue interpreta a modo suo tutto quanto.

Nel frattempo si scoprono non solo riserve energetiche che ogni giorno aumentano, ma anche minerarie di primissima qualità (tipo il litio) che, pure quelle, si estendono occupando ormai una vasta superficie. Da calcolare anche che, con tutto l’esteso territorio sudamericano, pure a livello agricolo la ricchezza è immensa: e noi che si fa? Invece di proporre accordi di reciproco scambio inserendo il fattore tecnologico europeo come elemento di estrema importanza per lo sviluppo di questo Sud del mondo in grado di migliorare il benessere reciproco, in nome di una discutibile filosofia energetica “Green” il Vecchio Continente smantella la sua tecnologia in favore di quella senza regole cinese (basta guardare il settore automotive, ma pure altri di primaria importanza) e dall’altra vorrebbe pure distruggere l’agricoltura europea per importare massicciamente proprio dall’America latina.

Ma è così difficile invece stabilire accordi di libero scambio che possano essere estremamente vantaggiosi per un reciproco sviluppo? Pare proprio di si: e in questo Cina e Russia, lo ripetiamo, operano da anni nell’offrire addirittura gratuitamente o quasi la proprio tecnologia in cambio di risorse energetiche e alimentari che però vanno a sommarsi a quelle loro senza presupporre una dipendenza. Che però poi a livello tecnologico creano nei confronti di molte nazioni sudamericane, specie quelle gestite dal populismo, costruendo, per esempio, reti ferroviarie ad hoc che possono alla fine essere manovrate solo da loro: un po’ quello che i cinesi volevano fare in Italia con la famosa “Via della seta” dove avrebbero costruito, per esempio, porti a gogò e alla fine monopolizzato gli scambi.

Dovremmo invece puntare decisamente su un rapporto reciproco che alla fine, visto il grande cordone ombelicale storico che ci unisce all’America latina, crei uno scambio comune in grado poi anche di poter incidere profondamente sullo sviluppo democratico non solo di questo Sud del mondo, ma anche del nostro che della sua restaurazione ne ha estremo bisogno, visto la profonda crisi che la democrazia sta attraversando pure da noi.

È per ora solo un sogno, che ritengo possibile dopo oltre 40 anni di frequentazione e conoscenza dell’America latina: resta da vedere se chi gestirà il potere politico dopo il voto europeo capirà quanto questa visione possa trasformarsi in realtà. Non ci vuole molto: solo usare l’intelligenza per costruire un mondo migliore, più aperto e spingendo su politiche di vero bene comune reciproco. Vamos!

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