Caro direttore,
è imminente l’apertura delle urne di queste elezioni europee, che sembrano interessare poco gli italiani per una serie di motivi. Primo, perché i partiti non fanno mistero di considerarle soprattutto un test per valutare il loro “peso” nella politica italiana. Sulla gestione della UE c’è poi un palese scontento di grandi segmenti della popolazione, vedi gli agricoltori, gli artigiani, le PMI, molti industriali, come si è visto dalle varie e affollate manifestazioni.
Ciononostante, parlando dei partiti della coalizione governativa, assistiamo a prese di posizioni che non hanno nulla di logico: come il ministro Tajani, che invoca un cambiamento totale dell’Europa e poi si presenta in una conferenza stampa con a fianco Ursula von der Leyen, principale responsabile di tutte le iniziative della Commissione che andrebbero cambiate.
Mentre la presidente Meloni, che con Ursula si è abbracciata in moltissime occasioni, sentito l’odore di bruciato, si è ben guardate di farsi vedere insieme a lei l’ultima volta che è venuta in Italia, lasciandola tutta a Tajani. Giungendo persino a fare un’assai tardiva affermazione di buon senso: “Mi domandate quale presidente della nuova Commissione auspico… prima vediamo quali saranno gli equilibri che usciranno dal voto”. Osservazione più che ragionevole, che tutti gli uscenti – dalla von der Leyen a Michel – sembrano ignorare, convinti che gli equilibri non cambieranno e loro continueranno a menare la danza. Chissà.
Il problema è che la maggioranza degli italiani non sa esattamente cosa siano il PPE, l’ECR, ID, AfD, eccetera. E nemmeno il PNRR o il MES. Mentre i sondaggisti non aiutano, esprimendo per lo più i desiderata dei committenti.
In questo contesto, in cui sicuramente pesa anche il dramma delle guerre sempre più sull’orlo di una trasformazione in un cataclisma totale, l’impressione è che gli italiani si stiano ritirando nella loro casetta come fanno le lumache: troppe promesse non mantenute, troppe bugie, troppe sceneggiate, come quelle che vanno in onda ogni giorno nei talk show televisivi che assomigliano sempre di più all’opera dei pupi, con personaggi stereotipati sia tra i conduttori che tra gli ospiti.
Un discorso a parte merita la cosiddetta area del dissenso, cresciuta notevolmente intorno alla gestione della pandemia. Alcuni sociologi parlano di un 15-20% della popolazione, che si trova direttamente (o indirettamente per via di parenti, amici e conoscenti) a fronteggiare effetti avversi procurati da terapie sperimentali chiamate scorrettamente vaccini.
Alle ultime elezioni politiche si sono presentate diverse liste in concorrenza tra loro (pur in sintonia con la stessa forma di protesta) che hanno ottenuto l’inevitabile risultato di non far superare a nessuna di queste la soglia minima del 4%. Ci si sarebbe immaginato che alle elezioni europee non sarebbe successo. E invece è successo di nuovo. Sia per la difficoltà di raccogliere le firme necessarie, non disponendo di una struttura di partito consolidata, sia per l’incontenibile aspirazione ad essere l’unico gallo nel pollaio: con il risultato di avere tanti piccoli galletti convinti di essere gli unici a poter rappresentare l’area del cosiddetto dissenso. Che non riguarda poi solo la sconsiderata gestione della pandemia, ma anche le guerre, la Nato, le follie ambientaliste, il controllo sociale, la perdita del potere d’acquisto, il controllo dell’economia globale da parte di pochi fondi di investimento.
In gran parte si tratta di questioni che trascendono le possibilità di intervento dei cittadini, che ne hanno al momento una sola: votare.
Ma è qui che casca l’asino: certi partiti oggi al governo – che nella campagna elettorale per le politiche hanno sfoderato toni molto aggressivi, per non dire quasi rivoluzionari – si sono ben presto allineati con i potenti della finanza e della guerra, anche perché nell’attuale contesto internazionale basta che una grande banca d’affari smetta di comprare i titoli italiani per far cadere un governo (Berlusconi docet).
Si capisce quindi perché è facile prevedere un notevole astensionismo fra quanti pensano che sia inutile andare a votare, visto che poi gli eletti fanno quello che conviene a loro. Nell’area del cosiddetto dissenso ci sono poi movimenti importanti che sostengono che di fronte a una forte astensione i potenti dovrebbero prenderne atto e cambiare rotta. Personalmente mi pare una grande ingenuità, dato che addirittura alcuni di questi potenti non fanno mistero di stare studiando – vista la crescita dei non votanti – un sistema in grado di sostituire i risultati delle elezioni con quelli scaturiti da algoritmi basati sui sondaggi!
Ci sono in Italia molte aggregazioni, associazioni, movimenti, che ritengono di poter ricostruire pezzi di società diversa e solidale, attenta ai reali bisogni dei cittadini, anche in grado di difenderli da un’industria farmaceutica che sembra pensare più ai profitti che alla salute.
Il sonoro schiaffone che l’OMS ha preso dai molti Stati che non hanno accettato di cedere la propria sovranità a un organismo oramai in mano a privati, è un segnale interessante di cui i mass media però non hanno parlato, forse immaginando che il direttore generale Ghebreyesus potrebbe riuscire a far digerire agli associati un nuovo regolamento comunque molto cogente.
Di fronte a tutte queste minacce, l’area del dissenso – almeno nei suoi cosiddetti leader – sta mostrando una triste e imbarazzante immaturità. Ma se non andranno a votare almeno per quei pochi candidati seri e competenti anche gli italiani nel loro complesso dimostreranno di essere altrettanto immaturi. E di meritarsi ancora una volta lo stigma di manzoniana memoria: “Tornate alle vostre superbe ruine, all’opere imbelli dell’arse officine, ai solchi bagnati di servo sudor. Il forte si mesce col vinto nemico, col novo signore rimane l’antico; l’un popolo e l’altro sul collo vi sta”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.